Spettacolo

Taylor Swift a Milano (1)

Il Foglio13 Luglio 2024

E quindi alla fine sabato vado al concerto di Taylor Swift grazie non ai vari uffici stampa, che a me mi trattano a pesci in faccia, ma alla cortesia del mio amico Paolo, che ha messo le mani su un biglietto a prezzo ragionevole e me l’ha girato sapendo della mia passione per TS. Il mio collega Leonardo Colombati ha scritto un librone su Springsteen ed è finita che è diventato suo amico, e io speravo che la stessa cosa succedesse a me con TS, io che su di lei ho scritto articoli fondamentali: un breve incontro nel backstage, magari addirittura in albergo prima del concerto, simpatia a prima vista, scambio di e-mail, io suo ospite d’inverno a New York, lei mia ospite d’estate a Laigueglia. Sapevo già anche che cosa portarle in regalo. Invece niente, neanche una telefonata.

Solo soletto sulla mia sediolina nel primo anello, se ci sono almeno le sedioline, avrò tempo per meditare sulla domanda che un altro caro amico, vero esperto di musica, mi ha fatto dopo che gli avevo mandato una playlist delle mie canzoni di TS preferite: «Ma che cazzo ci trovi in questa lagna adolescenziale?».

Ma intanto, caro Lorenzo, l’adolescenza. Non l’adolescenza patita, coi brufoli e le mani che sudano, ma l’adolescenza evocata depurandola dei suoi dettagli un po’ lerci, e centrata sull’Evento Cruciale di quell’età, anzi sui due Eventi Cruciali: l’innamoramento e l’amore, gli addendi la cui somma è quella cosa meravigliosa, irripetibile che è il cuore spezzato. Non è che sia un argomento originale, nessuno lo è ormai, ma su questo agrodolce passaggio della vita umana TS ha costruito non – attenzione! – un’elegia ma un’epopea i cui eroi non sono i belli e vincenti ma quelli un po’ sfigati, quelli che passavano il tempo a sognare a occhi aperti di incontrare la loro cantante preferita. Non si può dire meglio di come l’ha detto Helen Lewis qualche giorno fa sull’Atlantic: «I teenager per lo più si sentono sfigati – un sentimento che gli adulti non possono dimenticare».

Poi, caro Lorenzo, ci trovo sentimenti elementari espressi con parole elementari in melodie elementari. In altre parole, il kitsch. Ma il fatto è che sono entrato in quella fase della vita (in realtà ci sono dentro da quarant’anni, più o meno) in cui ho bisogno sì di arte raffinatissima che giustifichi il mio dottorato in Lettere, ma anche di parole più limpide e dirette. Mallarmé, d’accordo; ma anche Saba, se mi si passa la similitudine sghemba; e anche, appunto, l’ovvietà delle canzoni pop. Lo dice bene Parise in una pagina dei Sillabari: «Come le immagini della Polaroid che appaiono e si colorano solo dopo un paio di minuti, la banalità gli apparve come una cosa da non buttar via, anzi bella, ancora più bella con l’abitudine». Ecco, così, alla lettera.

Poi mi piacciono le vicende di caduta e di resurrezione, e TS sembra aver costruito la sua carriera su questo pattern così intimamente epico (Ulisse, Edmond Dantès, Massimo Decimo Meridio), all’occorrenza ingigantendo i torti subiti, all’occorrenza inventandoseli proprio. Ma davvero c’era bisogno di scrivere una canzone contro Kim Kardashian, dopo tanti anni? E poi una contro la svergognata che le ha rubato il ragazzo? E cinquanta contro il ragazzo fedifrago? Mi piace quando il risentimento, sublimandosi, produce un’opera d’arte. Come accade – senza fare paragoni – nella Commedia di Dante.

E poi TS è certamente una persona buona.

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