Cultura e società

La cultura dell’eccezione. Un sabato mattina alla Biblioteca Nazionale di Roma

Roma, 11 aprile 2015. Sono arrivata alla Biblioteca Nazionale alle 9 di sabato mattina. Il sabato mattina la Biblioteca è aperta dalle 8.30 alle 13.30. Arrivo fiduciosa: devo consultare libri recenti, generalmente prestabili e fotocopiabili. Dopo anni passati su materiale antico, inamovibile e non riproducibile se non a costi altissimi, è un sollievo.

Desidero consultare un’edizione critica, fuori catalogo e non acquistabile. Un’edizione critica, com’è noto, fissa il testo, offrendo le varianti redazionali di un’opera. Volendo a mia volta offrire ai miei studenti alcune di quelle varianti, e il confronto tra di esse e il testo ormai acquisito, disponibile in molte edizioni tascabili, voglio introdurmi in biblioteca con il mio tascabile, sul quale segnare le varianti. Non si può entrare nella biblioteca nazionale con libri propri, salvo motivate eccezioni debitamente autorizzate: chiedo l’eccezione, mi mandano in un ufficio, il responsabile mi ascolta e mi firma un foglio.

Entro nella biblioteca semideserta. Ho ordinato tre libri da internet. Di quei libri devo vedere il contenuto: ma, come ogni ricercatore sa, capita che a volte un libro risulti poco utile per la ricerca; o che ne risultino utili solo poche pagine. Dei tre libri che ho ordinato, uno è quasi inutile: mi bastano 10 fotocopie. Gli altri due invece sono fondamentali: poiché non li posso acquistare, decido di fotocopiarne l’introduzione e gli apparati, per un totale di 117 fotocopie. Alle 9.23 mi presento al servizio riproduzioni, unica utente: fanno i conti, mi fanno pagare 16 euro e 10, e mi dicono candidamente che le fotocopie potrò ritirarle la prossima settimana, perché oggi è sabato e non si fanno così tante fotocopie. Guardo l’orologio e chiedo se il servizio non è aperto, come recita l’orario, sino alle 13. Mi dicono di sì, certo, ma aggiungono che così tante fotocopie non si possono fare entro l’una. Formulo a voce bassa la domanda che in Italia è sempre più rara: «Perché?». Imbarazzata, la dipendente non risponde, ripete a mezza voce: perché siamo in due, è sabato, non si fanno così tante fotocopie. Continuo a guardare l’orologio e con tono piangente chiedo un’eccezione, perché lavoro a Bergamo (anche se abito a Roma). La signora mi concede l’eccezione, pregandomi però di non azzardarmi a presentarmi al bancone se non pochi minuti prima delle 13, perché prima non ce la fanno. All’Università ho una fotocopiatrice molto meno evoluta della loro, e molta meno esperienza e familiarità di chi gestisce per mestiere un centro fotocopie: 117 copie si fanno in una mezz’ora.

Torno al tavolo, dove, poiché sono solo le 9.40, decido di vedere altri libri (che vanno richiesti via computer): fuori c’è il sole, nella biblioteca fa freddo, ma devo comunque restare fino alle 13 per via delle fotocopie. Il computer mi dice che non posso fare altre richieste: al sabato, mi dicono al banco della distribuzione, si può chiedere solo un libro. Fortunatamente i primi tre erano stati richiesti da casa via internet, così il mio unico libro prefestivo è ancora disponibile. Ma prima devono risultare restituiti quei tre. Cosa impossibile, di solito, prima che il servizio riproduzioni abbia finito con le fotocopie. Chiedo allora un’altra eccezione: che il servizio fotocopie “scarichi” i volumi – dato che dopo averli fotocopiati li rimanda al magazzino – così da permettermi di non attendere tre ore e 20 invano. Mi accordano l’eccezione.

Faccio un’altra richiesta: adesso sono le 10.47 e il libro non è ancora arrivato. Mi spiegano che quando arriverà, se mi accorgerò che è quasi inutile, che mi serve solo leggere qualche pagina, potrò restituirlo subito e presentare un’altra richiesta, purché entro le 11.30 (dunque non uno, ma uno alla volta, entro le 11.30). Se, per disgrazia, anche l’ulteriore libro – che mi arriverà, a occhio e croce, non prima di mezzogiorno – si rivelasse una lettura rapida, non potrò più presentare richieste. Non mi resterà, dunque, che perdere un’altra ora del mio tempo, aspettando le fotocopie. Per fortuna ho il computer, e c’è il wifi: così potrò navigare su internet e vedere se su google books ci sono lacerti dei libri che non mi lasciano vedere nel luogo preposto alla loro conservazione e attrezzato per la loro lettura da parte degli utenti.

Mi chiedo poi se qualcuno di coloro che lavorano nella biblioteca, che governano la biblioteca, abbia mai sentito parlare di come si fa una ricerca, anche solo scolastica: spesso occorre confrontare dei volumi, leggerli insieme, passando dall’uno all’altro. Perciò i volumi non dovrebbero essere distribuiti uno alla volta, ma contemporaneamente. Chissà se anche per questo si può chiedere un’eccezione (motivata, e autorizzata da un ufficio).

Non incomincio nemmeno il confronto con le altri grandi biblioteche europee e americane, perché sarebbe troppo triste. Dico solo che in Italia, l’anno scorso, è stata cancellata da un emendamento la norma che permetteva agli utenti delle biblioteche di fotografare con mezzi propri (gratis e velocemente, anche se è sabato…) libri fuori catalogo, non protetti da diritti d’autore, persino antichi e manoscritti, purché in condizioni buone. Mi pare che la politica della Biblioteca Nazionale sopra descritta dica con chiarezza: abbiamo poco personale, occorre ridurre anche le richieste degli utenti. Non sarebbe allora più comodo fare in modo che gli utenti restino in biblioteca il minor tempo possibile, restituendo i libri il più presto possibile dopo esserseli fotografati da sé? La British Library ha appena consentito, inviando una mail personale a tutti gli utenti, la stessa possibilità. In Italia se ne è discusso, e da poco è partita una petizione.

Proporrei di fare un’altra petizione, che consenta prima agli studiosi di ottenere i libri dal servizio distribuzione delle biblioteche (altrimenti, che cosa fotografiamo?). Perché, in Italia, per ottenere ciò che è scritto nello statuto di un’istituzione, ciò che costituisce il suo proprio compito, la sua mission, come direbbe qualche anglofilo governativo, occorre una petizione o, almeno, un’eccezione.

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