Una raccolta di firme a favore della riproduzione libera e gratuita delle fonti documentarie in archivi e biblioteche
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si potrà firmare a favore della riproduzione libera e gratuita delle fonti documentarie (manoscritti, documenti d’archivio e volumi storici) in archivi e biblioteche tramite mezzo proprio (fotocamera o smartphone). Una richiesta che punta a estendere la libertà di scatto ai beni bibliografici e archivistici nel rispetto delle norme a tutela di privacy e diritto di autore, riproponendo lo spirito originario del decreto Art Bonus voluto da Franceschini come è stato già illustrato a settembre su «Il Giornale dell’Arte».
Hanno già firmato personalità di spicco del mondo della cultura e dell’Università come Gregorio Arena (Labsus), Massimo Bray (direttore editoriale Treccani), Massimo Cacciari, Claudio Ciociola (Sns), Andrea Carandini, Umberto Curi, Carlo Federici, Carlo Ginzburg (Sns), Andrea Giardina (Sns), Pierre Gros, Adriano Prosperi (Sns), Alfredo Stussi, Gianni Vattimo giuristi come Lawrence Lessig (Harvard University, fondatore delle licenze «creative commons»), nonché alcuni degli osservatori più attenti e autorevoli nel panorama dei beni culturali e delle frontiere dell’open data come Marisa Dalai Emiliani, Roberto Cecchi, Roberto Delle Donne, Mariella Guercio, Adriano La Regina, Daniele Manacorda, Ludovico Ortona, Antonio Pinelli, Giuliano Volpe (presidente del Consiglio Superiore per i Beni culturali e paesaggistici del Mibact), Bruno Zanardi, Luigi Zangheri (presidente dell’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze), Marco Contini (direttore della Società Pannunzio per la libertà d’informazione), Flavia Marzano (presidente degli Stati Generali dell’Innovazione), Tomaso Montanari e Giovanni Solimine.
A loro si accompagna soprattutto la voce forte di oltre tremila specialisti delle più diverse discipline storiche, dell’archivistica e della biblioteconomia, sia italiani sia stranieri operanti nel nostro Paese, ovvero i più diretti interessati in quanto frequentatori abituali di archivi e biblioteche per necessità di studio o lavoro, nonché docenti dell’École Nationale des Chartes.
Un coro decisamente trasversale, come testimoniano le adesioni di funzionari ministeriali e direttori di archivi statali ed ecclesiastici, cui si aggiungono i rappresentanti dei più diversi settori della società, tra cui gli Historical Archives of the European Union (European University Institute), la Società dei Filologi della Letteratura Italiana (Sfli), importanti fondazioni come il Fondo Ambiente Italiano (Fai), le associazioni di ricercatori e di professionisti di beni culturali come l’Associazione Nazionale Archeologi (Ana), l’Associazione Dottorandi e Dottori di ricerca italiani (Adi) e l’Associazione Precari della Ricerca Italiani (Apri), gli studiosi di storia locale, ma anche singoli pensionati e semplici appassionati di arte e storia da ogni angolo d’Italia.
Rimane difficile accettare l’obbligo imposto agli utenti di servirsi di un servizio esterno a pagamento in quegli archivi e biblioteche dove la riproduzione con mezzo proprio è proibita. E nemmeno appare giustificato pretendere, negli istituti che pure autorizzano gli scatti, il pagamento di gabelle per un servizio che viene svolto dall’utente in perfetta autonomia con la propria fotocamera, e dunque non erogato da terzi. E se anche lo si volesse fare passare come «contributo» alle spese di gestione e manutenzione delle strutture di cui beneficia l’intera utenza, non si vede perché esso debba infatti gravare solo su chi fotografa.
Se guardiamo all’Europa da anni nella sala studio delle Archives Nationales di Francia gli utenti possono fotografare gratuitamente e liberamente qualsiasi documento consegnato loro in normale consultazione (esclusi i materiali rari e di pregio e i documenti fragilissimi), e proprio quest’anno la British Library di Londra, in linea con le migliori prassi europee, ha aperto finalmente alle fotocamere degli studiosi le porte delle sale «manuscripts» e «rare books» proprio per meglio rispondere alle crescenti richieste degli utenti.
Gabelle sulla riproduzione autonoma, così come l’obbligo di servirsi di un servizio di riproduzione a pagamento costituiscono un freno a quella libera ricerca che la Repubblica è chiamata non solo a garantire, ma anche promuovere e facilitare al massimo grado, in armonia con il dettato costituzionale. Oltre a qualificarsi ovviamente come una misura fondamentale per agevolare la ricerca storica, la liberalizzazione delle riproduzioni di tutti i beni culturali sarà anche una occasione per riavvicinare gli studiosi all’amministrazione e rilanciare il ruolo di archivi e biblioteche come centri volti alla conservazione, ma ancor più di alla promozione e valorizzazione attiva del patrimonio documentario ivi custodito. Di recente le Direzioni Generali competenti si sono dichiarate disponibili a rivedere le regole: non c’è che da augurarsi allora che il «sogno infranto delle libere riproduzioni» torni presto a essere realtà.