[Domenicale del Sole 24 ore, 17 marzo 2013]
1973: il 4 gennaio nasce a Bari Mister X, il 26 marzo a East Lansing Mister Y. 1993: Mister X studia giurisprudenza all’Università di Siena, Mister Y computer engineering all’Università del Michigan. 1997: Mister X presiede la commissione per lo studio della dipendenza dalla droga del Comune di Orvieto, Mister Y una confraternita di graduate students di Stanford. 2002: Mister X è responsabile delle relazioni pubbliche e istituzionali per l’Italia nord-orientale dell’Istituto Nazionale Previdenza Dipendenti Amministrazione Pubblica; Mister Y incontra Mary Sue Coleman, presidente della University of Michigan. Lei dichiara che per scansire i 7 milioni di volumi della biblioteca ci vogliono 1000 anni, l’alumno che il suo Library Project è in grado di farlo in 6. 2011: Mister X diviene consulente del Ministro italiano per i Beni e le Attività Culturali (si prenderà cura del futuro delle biblioteche e delle biblioteche del futuro); Mister Y il ventesimo uomo più ricco del pianeta. 2012: Mister X è arrestato con l’accusa di aver rubato, esportato e venduto illegalmente oltre 3.500 tra manoscritti, volumi e altri beni, grazie a una fitta rete di complici internazionali; Mister Y comunica che Google Books ha digitalizzato 20 milioni di libri – grazie alla collaborazione di 21 partner internazionali – e intende acquisirne altri 110 entro la fine del decennio.
Paese che vai, quarantenne che trovi (e ti meriti). Eppure le romanzesche vite parallele di Marino Massimo De Caro, il demone dei Girolamini e di Larry Page, l’angelo di Mountain View con un cognome paradossale per un divo digitale, estremizzano i termini entro i quali si stanno dipanando i destini delle biblioteche, strette tra l’abbandono fisico e l’aggressione virtuale.
Eppure non tutte le notizie sono funeree; ieri è stata inaugurata a Mestre VEZ, una nuova biblioteca pubblica di 2000 mq integralmente coperti da wifi, in cui, oltre ai servizi tradizionali, è possibile accedere a una Media Library On Line con decine di migliaia di quotidiani italiani e stranieri, files musicali, materiali audiovisivi, ebooks multilingue.
Un evento fausto e raro nel Belpaese, dove negli ultimi tempi le biblioteche sono state soprattutto vittime di tagli (il budget delle statali è crollato dai 182,6 Me del 2000 ai 138,5 previsti per il 2013 e amputazioni ancor più dolorose sono state inferte alle civiche), chiusure (Universitaria di Pisa, tra le tante) e rinvii (dalla BEIC di Milano, già costata ai contribuenti 30 Me su un totale di 350, alla Nuova Civica di Torino, già costata 16,5 Me su un totale di 220).
Eppure, smentendo quanti preconizzavano la rapida estinzione di questi solitari e silenziosi luoghi di studio zeppi di anacronistiche carte, all’estero le biblioteche e i bibliotecari danno segni evidenti di vitalità e ottimismo; la tumultuosa avanzata del digitale ha infatti provocato un ripensamento radicale delle missioni, dei servizi, delle tecnologie e degli spazi, favorendo una decisa azione di rilancio, con corposi investimenti.
Non è casuale che tante, nuove, belle biblioteche, mediateche e digital cultural institutions siano state inaugurate nelle nazioni e nelle città più attente ai temi dell’innovazione, dell’educazione permanente, dell’inclusione sociale e della coesione comunitaria, per favorire la formazione e la disseminazione di quelle che l’Institute for Museum and Libraries ha identificato come le XXIth Century Skills: capacità di apprendimento, selezione delle informazioni, pensiero critico, creatività, flessibilità, adattabilità e condivisione.
Dalla Central di Seattle alla Central di Helsinki, dalla NAA di Hilversum alla Bibliotheek di Gand, dalla Public di Amsterdam alla Library and Culture House di Vennesla in Norvegia, dalla Central di Vancouver alla Black Diamond di Copenhagen, si moltiplicano le sedi preposte all’annullamento dei literacy e digital divides nella cosiddetta global knowledge society. Non si tratta di menate intellettualoidi, ma di questioni esiziali in un’epoca in cui il 30% dell’umanità dispone di una connessione internet e il 90% di un telefono cellulare, che hanno rivoluzionato il modo con cui le persone trovano, conservano, creano, condividono e utilizzano le informazioni.
Tuttavia queste sfide non vengono raccolte solo nelle sedi più imponenti, ma anche in una miriade di avamposti locali, giovani e snelli, che rispondono tempestivamente a istanze capitali: l’educazione dei nativi digitali, l’uso consapevole delle nuove tecnologie, l’inclusione sociale, etnica e confessionale, il dialogo intergenerazionale, l’accessibilità, la democrazia digitale, la qualità, contestualizzazione e terzietà delle informazioni, la responsabilità sociale, la gratuità della fruizione culturale, la mediazione dei desiderata dei produttori e dei consumatori di contenuti, etc. Si pensi, ad esempio, al successo riscosso dal progetto di Sergio Dogliani, un emigrato che ripercorrendo le orme di Panizzi ha inventato nel Regno Unito un nuovo formato di biblioteche civiche (le Idea Stores, superpremiate e iperfrequentate) partendo dai quartieri più disagiati e multietnici di Londra.
In questi casi il digitale non è stato percepito come una minaccia, ma come un’eccezionale opportunità per favorire la nascita di una nuova generazione d’istituzioni culturali, che, come l’adiacente M9 di Mestre, rappresentano il punto di convergenza e fusione delle rinnovate funzioni di musei, biblioteche e archivi.
Per conseguire questo obiettivo è necessario modificare costrutti mentali e pratiche professionali secolari, formare nuove competenze e professioni, concepire spazi fisici assai diversi da quelli austeri e intimidatori del passato: per realizzare biblioteche e istituzioni culturali future-proof, bisogna progettare luoghi accoglienti, inclusivi e sostenibili, più attenti alle esigenze di pubblici eterogenei e ai fabbisogni educativi, formativi e relazionali di comunità vaste che alle esigenze di singoli studiosi. Non ci vuole molto, basta crederci.