Spettacolo

Rezza & Mastrella a Trento giovedì e venerdì prossimi

Giovedì 23 e venerdì 24, alle 20.30, Rezza e Mastrella sono al teatro Sanbapolis di Trento, la prima sera con uno dei loro primi spettacoli, Pitecus, la seconda col loro ultimo, Hybris.

La prima difficoltà, quando si scrive un articolo di elogio, persino un articolo di venerazione su Antonio Rezza, sta nel fatto che Antonio Rezza, leggendolo, non sarà soddisfatto. Del resto, una delle battute che gli ho sentito fare almeno un paio di volte, alla fine dei suoi spettacoli, mentre il pubblico gridava «Bravo!», è la seguente: «Io lo so che sono bravo: perché non sei bravo tu!?». Non si è mai bravi abbastanza, quando si cerca di spiegare come mai Rezza è così bravo (anzi, perché sono così bravi Rezza e Mastrella: Antonio scrive e recita, Flavia disegna e realizza coreografie, o meglio ambienti che hanno l’aria di quadri astratti), non si centra mai veramente il punto, soprattutto se chi ascolta o legge non ha mai visto un suo spettacolo.

La seconda difficoltà è appunto questa. Come trovare le parole per descriverlo? Non è teatro classico, con i personaggi che si muovono, dialogano, fanno finta di esistere sulla scena, anche perché il personaggio in scena è quasi sempre solo lui (ma negli ultimi anni la scena si è un pochino popolata: in Hybris, l’ultimo spettacolo, Rezza governa e maltratta, o meglio sarebbe dire usa i corpi di un congruo numero di attori); non è teatro dell’assurdo, anche se un po’ gli assomiglia (ma Rezza è più intelligente e soprattutto più divertente del surrealismo che fingiamo di apprezzare a teatro), men che meno è teatro di parola, perché non c’è una voce che racconta, non c’è una storia lineare, non c’è un messaggio con cui lo spettatore pagante possa tornarsene soddisfatto a casa, non c’è neppure un significato traducibile in parole o in pensierini, come accade appunto nel teatro di parola, questo insoffribile surrogato laico della predica («Nell’esatto momento – scrive Rezza in La noia incarnita – in cui mi accorgo che qualcosa va a significare stimolando il sollazzo della mente pigra, mi lascio assalire da un disgusto che produce un fremito simile a uno spasmo»).

Che cosa, allora? Perché gli spettacoli di Rezza e Mastrella sono diversi da ciò che uno ha sempre visto a teatro, e perché sono memorabili? Direi intanto questo: che mentre il teatro-teatro (diciamo Molière, Cechov) parla della realtà, e mentre un pezzo del teatro del Novecento parla della realtà ma la trasfigura in simbolo (Pirandello, Beckett), quando si va a vedere uno spettacolo di Rezza e Mastrella la realtà la si lascia felicemente nel foyer, e per un’ora e mezza si entra in un universo autonomo, governato da leggi proprie, che niente – né i libri letti né gli spettacoli già visti – ci ha preparato a decifrare. Un universo in cui esistono sì dei personaggi (interpretati quasi tutti da lui, Rezza), ma sono personaggi che hanno la stessa evanescenza delle figure delle carte (e sovente anche lo stesso aspetto: Mastrella ha un infinita fantasia nel disegno dei costumi); in cui accade certamente qualcosa, ma non secondo un ordine e un tempo lineari, non secondo una trama; in cui si parla, si racconta, ma attraverso un linguaggio che non è quello del discorso comune, né veramente quello alogico del surrealismo (anche il paragone con Artaud o Ionesco non aiuta tanto), un linguaggio che è un bizzarro, ipnotico impasto di tic, cliché, giochi di parole, aforismi scombinati, un linguaggio che genera l’azione, che fa succedere le cose, come se nuovi mondi fossero lì pronti a nascere, e venissero tratti alla luce dalla voce di Rezza. Diceva Wittgenstein che i limiti del nostro linguaggio sono i limiti del nostro mondo: chi va a vedere Rezza fa la spiazzante scoperta che questi limiti si possono allargare, e anche che è possibile farlo ridendo.

 

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