Come si sa, Giovanni Verga cambia stile, tema, genere, ambiente della sua narrativa nel giro di poco tempo, tra i suoi trentacinque e i suoi quarant’anni. Anche dopo tante letture, a lasciare stupefatti, più ancora della rapidità del mutamento è la sua profondità, perché in capo a cinque anni Verga passa da questo (l’inizio di Eva, il breve romanzo pubblicato da Treves nel 1873): «Avevo incontrato due volte quella donna – non era più bella di tutte le altre, né più elegante, ma non somigliava a nessun’altra – nei suoi occhi c’erano sguardi affascinanti, come il corruscare di un’esistenza procellosa ch’era piena di attrattive»; a questo (Rosso Malpelo, 1878): «Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo, che prometteva di riescire un fior di birbone. Sicché tutti alla cava della rena rossa lo chiamavano Malpelo; e persino sua madre col sentirgli dir sempre a quel modo aveva quasi dimenticato il suo nome di battesimo». Cioè dalla mondanità cittadina ai diseredati delle campagne, da Firenze alla Sicilia, dal romanzo di costume orecchiato dai modelli francesi al verismo, dal narratore giudicante all’impersonalità, da Eugène Sue a Zola.
Ora, si sapeva che Eva, il più importante dei suoi romanzi ‘mondani’ degli anni Settanta, nasceva da un precedente romanzo abortito, cioè mai andato alle stampe, che Verga scrive nella seconda metà degli anni Sessanta, intitolato Frine (la cortigiana per antonomasia, secondo il mito greco). Ma del manoscritto di questo romanzo si erano perdute le tracce, e in sostanza nessuno lo aveva mai letto. Prima della scomparsa, si era però fatto in tempo a microfilmarlo, e sulla base di quel microfilm, oggi custodito al Fondo Mondadori, Lucia Bertolini ha offerto ora un’edizione critica del, diciamo, ‘complesso Frine–Eva’ che segna una data importante tanto negli studi verghiani quanto nella filologia dei testi a stampa.
Dire che Eva ‘nasce’ da Frine significa che i due testi hanno una struttura analoga, un analogo argomento, e che i personaggi interpretano grosso modo i medesimi ruoli: il giovane artista provinciale che s’innamora di una femme fatale, la femme fatale, il narratore che raccoglie la testimonianza dell’innamorato deluso. E anche lo scenario è lo stesso: la Firenze dei teatri, dei musei, delle Cascine. Al di là di questo, però, si tratta di opere indipendenti, che vanno editate e lette separatamente.
Ora, per quanto riguarda Eva, il testo-base è naturalmente quello dell’edizione Treves del 1873, che rivelò Verga a un pubblico numeroso se non ancora grande, con sei ristampe nel quarto di secolo successivo e – la fama del Verga verista non azzera quella del Verga mondano – «buoni risultati di pubblico anche oltre il crinale del XX secolo». Il romanzo è preceduto da una breve prefazione in cui Verga difende davanti alla lettrice ipocrita la moralità di un’arte che non fa che rispecchiare l’immoralità dei costumi: «non maledite l’arte ch’è la manifestazione dei vostri gusti. I greci innamorati ci lasciarono la statua di Venere; noi lasceremo il cancan litografato sugli scatolini da fiammiferi». Ebbene, tra i nuovi materiali che l’edizione critica mette a disposizione del lettore c’è una stesura precedente della prefazione che ha vari motivi d’interesse, e in particolare un molto più stretto legame con l’attualità. Essa accenna invece a figure e vicende che erano all’ordine del giorno nella cronaca del tempo: «Dapertutto si predica la moralità, è vero; in America dove tutti son liberi, persino di comprare e di vendere il suffragio, in Francia ove Cora Pearl riempie di sè tutti i giornali, nell’Inghilterra la quale vende per più di 100 milioni di oppio agli indiani e proibisce i sacrifizii umani – in Italia dove c’è un pò di tutto questo – e ci si arrabbatta a credere e far credere che se ne ha più di tutti – si direbbe che ve ne sia proprio un gran bisogno come se fosse in ragion contraria della nostra civiltà». Tali accenni a ciò che succedeva nel mondo sullo scorcio degli anni Sessanta (il movimento delle suffragette negli Stati Uniti, le avventure della fatale Cora Pearl, che riempivano le cronache dei giornali nella Parigi del Secondo Impero, la politica britannica nelle colonie) spariscono nell’edizione a stampa.
Per quanto riguarda Frine, si tratta di fornire l’edizione critica dell’autografo, che è lontano dall’essere una stesura definitiva ma nella sua provvisorietà restituisce un testo leggibile e in sé concluso. Non si tratta, come accennavo, di un semplice avantesto di Eva, bensì di un romanzo autonomo, e di un romanzo che risulta, nei limiti del suo genere (una Signora dalle camelie un po’ déclassée), piuttosto godibile: e per esempio l’innesco della vicenda, con il protagonista Luigi Deforti che scommette con gli amici di essere l’amante di Eva Manili, e per vincere la scommessa monta una tragica finzione, è più originale e felice della scena del ballo in maschera con cui si apre Eva. È naturalmente un Verga minore, ma è pur sempre Verga: e immagino e spero che Lucia Bertolini vorrà curare adesso un’edizione di Frine (associata a quella di Eva, si capisce) rivolta a un pubblico più ampio di quello dei filologi: un romanzo inedito di Giovanni Verga, centocinquant’anni dopo la sua composizione, non è una cosa che capiti tutti i giorni.
Dicevo sopra che questa edizione ha grande importanza per gli studi di filologia dei testi a stampa e di filologia d’autore. Da questo punto di vista, l’opera di Verga rappresenta, com’è noto, un caso di studio particolarmente interessante. Non solo, come accade per altri autori della sua epoca, gran parte dei racconti e dei romanzi verghiani segue la trafila che va dalla stesura manoscritta alla stampa in rivista, e dalla stampa in rivista a quella in volume, con pletora di varianti accidentali e sostanziali, ma una parte cospicua di queste prove narrative va soggetta a una nuova revisione (e talvolta a una nuova rielaborazione) in anni molto lontani da quelli della prima concezione e pubblicazione: così avviene anche per Eva ritoccata nel 1921, a cinquant’anni dalla sua prima ‘riscrittura’. Mi pare che il rigore, la dottrina e la chiarezza con cui Lucia Bertolini presenta e discute questa mole imponente di materiale variantistico rappresentino un modello che d’ora in poi dovrà essere tenuto presente da tutti i cultori di questo ramo degli studi letterari.
Giovanni Verga, Eva-Frine, edizione critica a cura di Lucia Bertolini, Interlinea, 30 euro.