Qualche giorno fa ho visto il documentario che Bernard-Henri Lévy ha girato in Ucraina nei mesi scorsi (Perché l’Ucraina?, si trova in rete). A un certo punto entra in una sinagoga e dice che lì insegnava un rabbino che per tutta la vita lo ha ispirato con le sue massime, una delle quali dice: «È proibito essere vecchi».
È davvero una bella frase, ho pensato, naturalmente a patto che la si interpreti non in modo volgare (‘bisogna fare di tutto per non invecchiare’) ma in modo intelligente (‘bisogna cercare di conservarsi giovani, cioè attivi, ardenti nello spirito anche da vecchi’). Non è una frase su come ritardare la vita adulta ma, al contrario, su come viverla, o meglio su come vivere quello spicchio di esistenza che va dalla piena maturità al momento in cui il nostro corpo e la nostra mente ci abbandonano, e noi non siamo più noi, e non c’è adagio rabbinico che tenga.
Il nuovo libro di Guia Soncini parla appunto dell’ingresso in questa fase della vita, il momento in cui – vale la pena di ricitare la splendida pagina di Martin Amis che lei cita – uno dice a sé stesso «è andata un po’ tanto in fretta, cazzo!!!… Poi i cinquanta arrivano e se ne vanno, e i cinquantuno, e i cinquantadue. E la vita si ispessisce di nuovo. Perché adesso c’è un enorme e insospettata presenza nel tuo essere, come un continente inesplorato. È il passato». Il titolo, Questi sono i 50, allude, immagino, al film di Judd Apatow This is 40. Lì i 40 erano gli anni della crisi: la vita che sembrava piena di possibilità e di promesse si semplifica, s’impoverisce; la battaglia tra Ciò che siamo e Ciò che vorremmo essere si fa cruenta; per superare la crisi ci vuole fortuna, resistenza, una famiglia solida, un partner comprensivo. A cinquant’anni, invece, la crisi è superata, oppure si è cronicizzata: ognuno a quell’età, come diceva Orwell, «ha la faccia che si merita», e se si è vissuto con gli occhi aperti ci si conosce e si conoscono gli altri, non ci si fanno troppe illusioni su quei 20-25 anni ancora utili che sono il futuro ma in compenso il «continente inesplorato» che è il nostro passato, cioè la nostra vita, inizia ad acquistare una fisionomia definita, comprensibile, forse persino un senso.
Di mestiere, lo dico perché non tutti la conosceranno, Guia Soncini è una persona che esprime opinioni per iscritto in maniera molto articolata. In questo si distingue dai giornalisti, che raccontano fatti; dagli editorialisti, che studiano una questione e limitatamente a quella esprimono il loro parere (lo so, lo so: in un mondo ideale); e naturalmente dai polemisti sui social, che in genere non sono articolati. Il campo delle sue osservazioni è il presente in generale, con una propensione per le arti pop e i media, nonché tutto quello che si dice, sente, scrive in giro. Costume è la vecchia categoria che inquadra questo tipo di produzione intellettuale; ma nell’età di internet e – per usare un’etichetta cara all’autrice – del Grande Indifferenziato, dentro il Costume ci può stare praticamente tutto (una vecchia bella antologia scolastica curata da Natalia Ginzburg s’intitola modestamente La vita: e questo è più o meno si occupa, con pari modestia, Soncini). Io sono un suo ammiratore, oltre che per qualità evidenti (acume, intelligenza, cultura, ironia, wit, capacità di scrittura fuori del comune), per una peculiarità che immagino siano pochi a poter apprezzare. Dato che non è (credo) laureata e che non ha fatto un dottorato, Soncini è rimasta felicemente immune dalla serqua di idiozie che i dipartimenti umanistici delle università hanno assorbito, prodotto, messo in circolo negli ultimi decenni: un campionario di idee ricevute, formule reboanti per lo più prive di senso, slogan virtuistici, pseudo-concetti orecchiati e mal compresi, e soprattutto nomi, caterve di nomi di professori usati come bandierine, professori a cui l’accademia ha conferito un’aura di autorevolezza e a cui persone ragionevoli, nella vita reale, non affiderebbero neanche il cane da pisciare. Resistere non è facile, e anche solo per questo Soncini meriterebbe una medaglia.
Questa estraneità alla cultura universitaria, questo non essere una professoressa, ha anche un lato negativo? Sì, ce l’ha. Come sa chi la legge, lo stile di Soncini è intensamente personale, sia nel senso che il suo è uno scritto molto parlato, e che nelle sue pagine, più che percepire la sua voce, se ne è trascinati; sia nel senso che, di qualsiasi cosa si occupi, la descrizione di quella cosa è filtrata dalla sua esperienza, da ciò che le è capitato nella vita. Riflesso comprensibile, del resto, anzi necessario, dal momento che Soncini non scrive ogni tanto, o un giorno sì e uno no, ma tutti i santi giorni su Linkiesta, e per forza di cose è sintonizzata sui tempi della cronaca non su quelli della filosofia. Sono qualità preziose, appunto, nel giornalismo-opinionismo day by day; ma la forma del saggio – e sono saggi anche i due precedenti pezzi della trilogia che Questi sono i 50 completa, a meno di future addizioni: L’era della suscettibilità e L’economia del sé) – richiede, perché il saggio riesca davvero incisivo, una struttura meno floue e un modo d’argomentare meno aneddotico; e sì, ogni tanto anche qualche confronto con le opinioni dei professori. Ma poi, si capisce, ci vorrebbero delle note, la bibliografia, e l’intelligenza di questi libri finirebbe per diluirsi o perdersi nei manierismi di cui ho detto sopra. Quindi no, lo spirito è merce rarissima, specie in questo paese di tromboni, dunque ben venga la forma-diario, la forma-causerie che Soncini si è scelta, e nella quale eccelle.
Quanto a questo libro in particolare, tolto qualche eccesso di entusiasmo per il pop e qualche eccesso d’insofferenza nei confronti degli odiati giovani, è forse il migliore della serie, o così mi pare per fatto personale: perché non sono suscettibile (primo libro, 2021) e non faccio commercio di me sui social (secondo libro, 2022), ma ho la stessa età di Soncini, anzi un anno di più. Conoscendo l’autrice, sapevo che non sarebbe stato un piagnisteo sulla Morte che si avvicina. Ma non mi aspettavo neppure un quasi solare inventario delle ottime ragioni per le quali dovremmo rallegrarci di essere arrivati sani e salvi alla mezza età. Sì, sì, può darsi davvero: l’età più bella. Solida, seria, consapevole, disillusa ma non cinica, anzi persino generosa col prossimo, dato che noi ormai bene o male siamo arrivati in cima. Peccato, come dice Gassman nella Famiglia (ma a proposito di un’età diversa!), che duri così poco.
Guia Soncini, Questi sono i 50, Venezia, Marsilio 2023, euro 18.