L’anno scorso uno degli studenti migliori del mio corso di Letteratura italiana era una studentessa, il che non è raro, ed era russa, il che è più inusuale. Per aggiungere stranezza alla stranezza, era russa e aveva deciso d’imparare l’italiano nel 2015, quando all’Eurovision aveva sentito il gruppo melodico-pop «Il Volo». Le vocazioni fioriscono anche in mezzo ai deserti, figuriamoci in mezzo al kitsch. Così, nella provincia russa questa ragazza si è auto-insegnata l’italiano soprattutto grazie a internet, poi si è spostata a Mosca, ha conosciuto un italiano, è venuta in Italia, e adesso vorrebbe finire i suoi studi qui, rimanere, fare l’insegnante. Ce la farà, spero e credo, e i suoi allievi saranno persone molto fortunate. Che popolo formidabile sono i russi, quando questa idiozia sarà finita dovremo tutti ricordarcelo.
Le ho chiesto come vanno le cose in patria, e mi ha detto che di guerra non si parla, non si parla di niente, si fa finta che la guerra non esista, anche perché i giovani che s’informano attraverso canali indipendenti e i vecchi ostaggi della TV di stato la comunicazione è quasi impossibile. Si aspetta, e chi può, chi è in età da mobilitazione, cerca di andarsene. Ma lo sanno anche i vecchi che «qualsiasi cosa dica Putin è una menzogna». Chissà se è vero; e comunque vada, chissà quali orribili ferite lascerà nella coscienza di un popolo intero quest’abitudine alla finzione. «Non credo che ne usciremo, spiritualmente, nell’arco della mia vita». E la ragazza ha venticinque anni.
Dall’altra parte, anche in Trentino abbiamo scoperto l’Ucraina, un paese che fino a ieri non sapevamo neppure localizzare sulla mappa, e gli ucraini. La provincia e la regione ne ha accolti e ne ospita a centinaia: per chi viene da fuori (è il mio caso), la silenziosa, fattiva generosità dei trentini è sempre qualcosa di sorprendente. Non si mettono manifesti: si fa. È un tratto così poco italiano…
Qualcuno li conosceva già, gli ucraini: è gente che fa per lo più lavori duri, lavori manuali gli uomini, lavori di cura le donne («Cameriere, badanti, amanti», ha detto in un fuorionda una inqualificabile giornalista RAI). La mia amica Olena è un’eccezione: insegna russo all’università e però è ucraina, e ha dovuto far venire qui i suoi genitori anziani per salvarli dalle bombe, dalla fame e dal freddo (essere costretti a lasciare il proprio paese a ottant’anni: quale girone dell’inferno attende il responsabile di un affronto simile?). Comunque sia, umili o benestanti, ignoranti o dotti, li abbiamo visti tutti insieme, tra febbraio e marzo, caricare i camion di cibo, coperte e medicinali, notte e giorno, e poi partire verso est, e tornare per ricominciare da capo. Chi c’era, conserva di quei giorni un ricordo quasi allegro: tali sono state, nella tragedia, la forza e la determinazione di questo popolo.
Ora arriva un altro inverno, e l’Ucraina è al buio e al gelo. Bisogna continuare ad aiutarli. Esiste un’associazione di ucraini che vivono in Trentino, e che raccoglie fondi destinati a tenere in vita chi in questo momento è in zona di guerra, RASOM; ed è sempre attivo (ed è sempre sicuro) il conto aperto dalla Provincia per le donazioni. Basta mettere su Google «Emergenza Ucraina Trentino» e seguire le indicazioni successive. Oppure si può visitare il sito dell’Università di Trento. Come e più delle altre università italiane, Trento ha accolto studenti e studiosi ucraini, e nelle prossime settimane sulla homepage dell’ateneo torneranno in evidenza tutte le informazioni utili circa le iniziative di ospitalità e di raccolta fondi. È uno di quei casi in cui dare una mano può significare davvero cambiare delle esistenze, o contribuire a rimetterle sui binari giusti.