Dei risarcimenti postumi i morti non se ne fanno niente; ma possono giovare ai vivi. Tre anni fa, sotto il titolo Etica e letteratura, Mondadori ha pubblicato nella collana dei Meridiani un’ampia selezione delle opere di uno scrittore sconosciuto ai più, il polacco Gustaw Herling: una decina di racconti; il Diario scritto di notte, che copre gli ultimi trent’anni del Novecento ma è, più in grande, una riflessione sulla storia politica e cultura dell’Europa nell’arco di tutto il secolo; e soprattutto il memoriale che racconta i due anni passati da Herling nel gulag di Ercevo, nella regione di Arcangelo, dove era stato rinchiuso in quanto ufficiale dell’esercito polacco dopo che i sovietici avevano invaso il suo paese.
Un mondo a parte, questo è il titolo del memoriale, è uno di quei libri capitali – all’altezza di Levi, di Grossman, di Améry, di Šalamov – che documentano le atrocità dei campi di concentramento ma, oltre a documentare, speculano con profondità di giudizio sul significato di questa esplosione di follia nel cuore del ventesimo secolo: sul tormento che può sempre essere, per le indoli sensibili, la relazione con gli altri esseri umani («E là, nell’oscurità, compresi, per la prima volta nella mia vita, che in tutta l’esistenza di un uomo soltanto la solitudine può dargli la pace interiore e restituirgli la sua personalità»); e sui guasti che nelle menti degli esseri umani provocano quei surrogati della religione che sono le ideologie («Per centinaia di migliaia di Gorcev il bolscevismo è l’unica religione e l’unico atteggiamento possibile verso il mondo, perché esso è stato loro instillato goccia a goccia nel corso dell’infanzia e della giovinezza»).
Solo che, appunto, la violenza idiota di cui Herling fu testimone e vittima fu quella dei sovietici: le sue pagine vennero subito lette e apprezzate in Gran Bretagna e negli Stati Uniti (Bertrand Russell firmò nel 1951 una prefazione all’edizione inglese di Un mondo a parte definendolo il più impressionante tra i libri sui gulag, nonché quello scritto meglio), mentre faticò a trovare lettori simpatetici in paesi come la Francia e l’Italia, dove gli intellettuali erano – diciamo – meno propensi a riconoscere i crimini del comunismo realizzato.
Ma proprio in Italia Herling visse la seconda parte della sua vita, dal 1955 (era nato nel 1919 a Kielce, nella Polonia meridionale, morirà nel 2000): dopo aver combattuto nell’esercito alleato tornò nel nostro paese e sposò Lidia, una delle figlie di Benedetto Croce, e con lei si stabilì a Napoli. Qui scrisse le opere della maturità, e il Diario; qui soprattutto svolse un’attività di pubblicista molto intensa, collaborando tra l’altro a «Tempo presente» di Silone e Chiaromonte e fondando la rivista dell’emigrazione polacca «Kultura». Ma dei suoi libri e della sua intelligenza beneficiarono, lui vivente, in pochi, almeno in Italia. L’intellighenzia progressista non gli perdonò il suo anticomunismo, la sua intransigenza nei confronti dell’Unione Sovietica; d’altra parte, la sua irrequietezza e il suo rigore morale (la parola Etica che campeggia nel titolo del Meridiano non è, per una volta, abusata) lo portarono spesso su posizioni inconciliabili con quelle dei dissidenti più noti e ascoltati in Occidente, nonché a segnare la propria distanza rispetto a libri influenti come Buio a mezzogiorno di Koestler e La mente prigioniera di Milosz, che trovava fossero troppo indulgenti nei confronti delle interessate complicità degli intellettuali. Avverso al comunismo sovietico, non era però abbastanza malleabile da poter essere arruolato nell’esercito dei conferenzieri che, tra media e università, magnificarono nel secondo dopoguerra le virtù del ‘mondo libero’. Restò solo.
Ora Viella pubblica gli atti di un convegno su Herling tenutosi a Napoli nell’ottobre del 2019, ed è un’altra occasione non solo per approfondire le opere e le idee di questo grande intellettuale ma anche per riflettere sulla storia europea del Novecento da una prospettiva non usuale, almeno per il lettore non esperto dei paesi dell’est; e per riflettere sull’Italia, sulla nuvola di settarismo, fanatismo e pura e semplice stupidità che ha gravato sul dibattito politico e culturale nel nostro paese nella seconda metà del secolo. Il libro è composito, frammentato, anche un po’ caotico – ma è bene che sia così. A una sezione di saggi di sintesi sulla figura di Herling (particolarmente istruttivo quello di Paolo Morawski sulla sua idea di Europa) seguono ritratti e testimonianze di persone che gli furono vicine (Fofi il più franco e intelligente, sia qui sia nella premessa al Meridiano; ma sono bellissime le due pagine di ricordo della traduttrice Vera Verdiani), un reportage molto originale dall’ex-gulag di Ercevo di Mariusz Wilk, e infine alcuni contributi sulla ‘funzione-Herling’ nel rapporto e nel dialogo con scrittori italiani come Cristina Campo, Elémire Zolla, Elsa Morante, Leonardo Sciascia.
Roba vecchia, buona per gli storici? Mica tanto. Rileggendo il Meridiano e leggendo ora questo libro non è possibile non avvertire la presenza, l’incombenza di un Leitmotiv, che è l’Unione Sovietica, la Russia. «Se – osserva Morawski – l’Est europeo costituisce l’orizzonte principale della visione europea di Herling, la sua est-ità non è sensibile al richiamo della Mitteleuropa, come forse ci si aspetterebbe […]. All’esule polacco non interessano né la nostalgia asburgica, né la pretesa dell’Europa ‘centrale’ di appartenere all’Europa ‘civilizzata’, né tantomeno quella di distinguersi come spazio storico-culturale sia dall’area occidentale sia dall’area orientale»: No, secondo Herling «il destino dell’Europa centro-orientale dipende quasi esclusivamente dai cambiamenti e dalle trasformazioni della Russia»; perciò occorre valutare con attenzione tutto ciò che si dice e si fa a Mosca, e aiutare i dissidenti sovietici, e combattere contro la russificazione che minaccia «gli ucraini, i bielorussi, i baltici o le nazionalità musulmane». È necessario, scrive nel Diario, che «la Russia e il suo totalitarismo sovietico diventino oggi un problema filosofico e morale per l’Europa e in generale per l’Occidente, e non solo un problema politico, militare ed economico». È una nota dei primi anni Ottanta. Quarant’anni prima, nel 1939, era stato testimone del modo in cui i sovietici organizzavano ‘libere elezioni’ nei territori polacchi occupati; tali elezioni, scrisse poi, «erano in realtà una sinistra e cinica farsa mai riscontrata nella storia della procedura elettorale» (eliminato il nome «Polonia», informa W. Bolecki, le forze d’occupazione sovietiche avevano ribattezzato quei territori ‘Ucraina occidentale’ e ‘Bielorussia occidentale’…).
Uno scrittore ‘attuale’? Certamente; ma di scrittori ‘attuali’ ce ne sono anche troppi. Più rari sono quelli che hanno visto giusto in anni in cui – per vanità, fanatismo, viltà – era facile sbagliarsi. Retrospettivamente, Herling sembra appartenere a questa esigua e in genere non allegra compagnia.
Gustaw Herling e il suo mondo, a cura di Andrea F. De Carlo e Marta Herling, Viella, Roma 2022.