Pochi studiosi di letteratura della sua generazione hanno lavorato tanto e tanto bene come Guido Capovilla. Si sapeva, lo sapevano coloro che avevano letto i suoi saggi a mano a mano che uscivano, a partire dalla fine degli anni Settanta; ma ora questo libro di Studi metrici, che raccoglie il versante più tecnico della sua produzione scientifica, dà a quella consapevolezza la forza dell’evidenza, e rende ancora più vivo il rimpianto per aver perduto così presto uno studioso di tale valore. Capovilla era davvero, per usare una formula che Contini riferiva a sé stesso (in una lettera privata, s’intende), «un tecnico dagli infiniti scrupoli», vale a dire che i suoi interessi storico-letterari poggiavano su una base solidissima di competenze filologiche (di fatto, Filologia italiana fu la disciplina che professò nel suo primo incarico all’Università della Calabria dal 1979) e linguistiche (dal 1983 insegnò Storia della lingua italiana a Venezia, prima di passare alla cattedra di Letteratura italiana prima a Verona e poi, dal 1991, a Padova): e di tali competenze sono prova soprattutto, in questo volume, il lungo saggio sui primi trattati di metrica italiana, con una magistrale discussione-stroncatura dell’edizione Andrews della Summa di Antonio da Tempo, e quello sul Compendio ritimale di Francesco Baratella. Ancora insuperati, come si dice di solito: ma stavolta lo si dice a ragion veduta.
Negli anni Novanta e nei primi anni Duemila Capovilla prese a riunire i suoi studi in volumi monografici: su Pascoli, su D’Annunzio, su Carducci, sui pre-stilnovisti, su Petrarca. Sono studi che hanno avuto un ruolo rilevante nel dibattito, ma ho l’impressione che il loro impianto monografico abbia impedito di percepire a pieno, al di fuori di una cerchia abbastanza ristretta di allievi e di ammiratori, l’originalità del punto di vista che li ha ispirati. Perché Capovilla dava il suo meglio, a mio avviso, non nell’interpretazione degli autori (anche se a un autore; Carducci, ha poi dedicato una monografia eccellente), bensì nella lettura dei dati in diacronia, dati metrici, stilistici, retorici; e nel loro impiego al servizio della storia letteraria. Era cioè uno dei non molti specialisti di poesia medievale che, partendo dalle cognizioni tecniche cui ho accennato, era capace di raccontarne l’evoluzione da prospettive inedite (nei decenni a cavallo tra XX e XXI secolo sembra una prerogativa della scuola padovana: riflesso, anche, degli insegnamenti di Folena, del quale Capovilla era allievo). Lo si vede bene, per esempio, per il versante linguistico, in un saggio del 1983, Ascendenze culte nella lingua poetica del Trecento, nel quale lo studioso misurava attraverso spogli accuratissimi l’influenza della maniera stilnovista sulla lirica trecentesca (lo spoglio, la documentazione minuziosa dei fenomeni come antidoto all’impressionismo di molta storia della letteratura era una delle costanti del suo metodo); e lo si vede benissimo, per il versante metrico, ora che la cura di Emilio Torchio ci restituisce una parte cospicua dei suoi studi sull’argomento.
Capovilla conosceva alla perfezione due epoche della poesia italiana: il basso Medioevo, dai siciliani al petrarchismo; e lo snodo cruciale dei decenni a cavallo tra Otto e Novecento, quando le norme che per secoli hanno governato la metrica italiana cessano di essere cogenti eppure si assiste a un revival di forme classiche che riequilibra e complica le spinte anti-tradizionali della nuova poesia di Carducci, Pascoli, D’Annunzio. Questa doppia competenza consente a un Capovilla non ancora trentenne di scrivere i tre saggi davvero esemplari che aprono il volume, i primi due dedicati alla storia della ballata e il terzo a quella del madrigale. L’arco cronologico è appunto quello, amplissimo, che va dalla lirica musicata trecentesca ai recuperi eruditi di Tommaseo e Carducci (eruditi perché si tratta di studiosi ed editori dell’antica poesia, oltre che di poeti in proprio); ma poi l’arco continua, perché tracce di ‘memoria’ della forma-ballata e della forma-madrigale Capovilla sorprende tra i crepuscolari e in Saba – insomma, sei secoli di poesia italiana osservati dalla specola di due generi metrici. Ma non solo. Abilissimo nel documentare la lunga durata delle forme e dei generi, e nell’impostare insomma una storia letteraria capace di procedere anche ‘senza nomi’, o sussumendo i nomi, gli autori nella storia delle strutture, Capovilla era anche dotato di un talento analitico fuori del comune. Esso affiora nelle letture di testi che costellano questi saggi, nelle pagine così penetranti dedicate alle ballate di Pascoli o di D’Annunzio, alle ‘cripto-ballate’ di Noventa e Saba, al madrigale carducciano Vignetta, e l’elenco potrebbe continuare; ma affiora anche là dove Capovilla lascia da parte gli spogli e gli elenchi e riflette sulla funzione cui strutture e sotto-strutture metriche assolvono entro la compagine dei generi poetici. Un solo esempio. Si sa che la ripresa della ballata è – sempre con un’espressione di Capovilla – una specie di «frontespizio tematico», cioè una serie di versi che fissa il tema che verrà poi sviluppato nelle strofe. Ebbene, a questa osservazione già preziosa Capovilla ne aggiunge un’altra più sottile (e, non è superfluo notarlo, perfettamente formulata: pochi studiosi hanno saputo scrivere un italiano più esatto ed elegante del suo):
Questa sezione strofica [la ripresa, appunto] suole isolare lo spunto lirico prefigurandone la successiva articolazione dialettica, e più spesso usa selezionare già in partenza, mediante la rima finale, la classe degli elementi (o, in caso di individuo monostrofico, dell’elemento) come i suffissi astratti, le desinenze verbali, ecc., destinati alla clausola della stanza, con l’esito di relazionare ad una costante lessicale o grammaticale collocata in posizione di spicco lo svariare del restante discorso verbale.
Col che la relazione tra ripresa e strofe della ballata viene reimpostata e approfondita, non più soltanto sulla base della sostanza del contenuto – il motivo o l’argomento del testo – ma anche sulla base dell’articolazione formale, delle connessioni interne, nel solco degli allora recenti studi di Menichetti e Santagata, e anche attraverso un uso della teoria strutturalista – contro certi fanatismi dell’epoca – molto discreto e intelligente.
Guido Capovilla, Studi metrici, Firenze, Edizioni del Galluzzo 2021.