Libri

Su “Sangue nell’ottagono” di Alessandro Dal Lago

Domenicale del Sole 24 ore13 Febbraio 2022

Qualche mese fa, nella scuola frequentata da figli di miei amici, c’è stata la tradizionale occupazione, e dalla Trattativa studenti-preside è venuta fuori l’idea di organizzare dei corsi autogestiti su temi non strettamente curricolari. Offerta varia, sgranata su cinque giorni, con docenti chiamati da fuori. Al secondo posto per gradimento, cioè per numero di studenti iscritti, un approfondimento sulla Shoah con letture, film, testimonianze. Al primo posto, un corso di teoria e pratica delle MMA, Mixed Martial Arts: imparare a menarsi, ma come si deve.

Imparare a menarsi, cioè a menare gli altri, è il segreto o non segreto desiderio di ogni pre-adolescente o adolescente, e per la verità anche di moltissimi signori di mezza età, quorum ego, e la parte sorprendente dell’aneddoto non è tanto quella relativa al gradimento da parte dei ragazzi quanto quella relativa alla sede in cui questa istruzione in MMA ha avuto luogo, un liceo lombardo, con il leg scissors choke (strangolamento con le gambe a forbice) al posto della perifrastica passiva. Ma insomma, è un segno: trent’anni fa ben pochi si sarebbero iscritti a un corso di kickboxing o di pugilato, un po’ per paura di sfigurarsi un po’ perché non era educazione, e invece adesso questa forma di lotta ancora più violenta (nelle MMA vale più o meno tutto, e finire al tappeto non vuol dire smettere di prenderle: you get grounded and pounded, come soavamente si dice) accende interesse, attira praticanti o aspiranti tali, anche (novità nella novità) tra le donne. Conversando con amici, si sente sempre più spesso di un ex compagno di scuola di un figlio che ‘fa questi incontri di MMA’, a volte un ragazzo problematico ma neanche sempre: la Grande Speranza Italiana delle MMA Martin Vettori (Mezzocorona, TN, 1993), a parte fare fisicamente paura, a sentirlo sembra persino gentile.

Che cos’è successo?

Lo spiega molto bene questo nuovo libro del sociologo Alessandro Dal Lago, che si può dividere in tre parti, una storica (la lotta nei secoli), una sincronica (le MMA oggi) e una di riflessione intorno a ‘quello che c’è sotto’, cioè un tentativo di risposta alla mia domanda su che cos’è successo in questi ultimi decenni, dalle novecentesche risse nelle bettole al corso di MMA nei licei.

Dal Lago non è un praticante. Potrebbe sembrare inutile specificarlo, ma è un fatto che alcune delle cose più interessanti sulla lotta, nelle sue varie sfumature, cominciano ad essere scritte da intellettuali che prima di scrivere hanno combattuto: il regista David Mamet, per esempio, o l’anglista Jonathan Gottschall (Il professore sul ring. Perché gli uomini combattono e a noi piace guardarli, Bollati Boringhieri 2015); e si sa che uno dei migliori scrittori italiani contemporanei, Antonio Franchini, ha praticato gli sport di combattimento, scrivendone più volte. Dal Lago ha un più normale, oggettivo approccio da studioso, anche se all’argomento si è avvicinato per caso: «Ho iniziato a occuparmi di arti marziali miste – scrive – nel 2012, nel corso della lunga convalescenza da una malattia. Avendo a disposizione molto tempo e non essendo in grado di lavorare, passavo le mie giornate davanti al televisore e al computer e così ho scoperto casualmente l’esistenza e la diffusione di questo spettacolo sportivo. Né il mio carattere poco bellicoso, né l’età abbastanza avanzata avrebbero dovuto giustificare l’interesse verso pratiche che mi sono sempre state (e restano) del tutto estranee. Eppure, fin dal momento in cui ho visto i primi video dei combattimenti di MMA, ho avuto la sensazione di assistere a un cambiamento in corso della cultura globale».

Non è eccessiva, questa folgorazione? Non sono semplicemente, le MMA, uno dei tanti modi che gli uomini hanno inventato nei secoli per sfogarsi e per dare spettacolo? E davvero si può parlare di un fenomeno che riguarda la «cultura globale»? La prima parte storica e la seconda, descrittiva, rispondono a queste domande in maniera molto convincente (e, come non è scontato tra i sociologi, con uno stile cristallino). È vero, gli uomini hanno sempre lottato; in certe epoche e in certi paesi si trattava di un’abilità trasversale ai ceti: erano lottatori anche Abramo Lincoln e Theodore Roosevelt. Ed è vero, queste lotte potevano essere ben più cruente delle MMA: sui ring si moriva, per non parlare di ciò che accadeva nelle organizzate ma non regolamentate risse a pugni o al coltello tipo Gangs of New York. Ma si poteva credere, nel solco delle ricerche di Norbert Elias, che le società moderne avessero marciato nella direzione dell’incivilimento e dell’addolcimento, cioè della censura delle pratiche sportive più violente. Si poteva credere che il tabù della vista del sangue – il sangue che immancabilmente scorre in un incontro di MMA – diventasse norma per un numero sempre maggiore di persone; invece non è così. Nel giro di trent’anni (il primo UFC, Ultimate Fighting Championship, è del 1993), le MMA sono diventate uno degli sport più visti in TV e in rete negli Stati Uniti, quindi presto nel mondo intero; da tempo si parla della loro possibile ammissione alle Olimpiadi; e – elemento di grande interesse, sul quale giustamente Dal Lago insiste – a vederle e a praticarle sono sempre più spesso anche le donne.

Quanto a quest’ultimo dato, è difficile non metterlo in relazione con la progressiva estensione di habitus ‘spartani’, tradizionalmente maschili, al genere femminile (sopportazione della fatica e del dolore, ossessione per la cura del corpo e il tono muscolare, risolutezza nell’approccio con gli altri, con la vita). Quanto al fenomeno in generale, non sono convinto che le chiavi per capirlo stiano in Heidegger (p. 126), o nei riti di iniziazione di Van Gennep (pp. 19-20), e neppure veramente in Goffman (pp. 103-4). Mi pare sia un viluppo complicato di ragioni nel quale entrano molti aspetti importanti della nostra vita attuale, per questo il tema è interessante: l’espulsione della violenza fisica dalla sfera pubblica e dalla vita della grandissima parte delle persone; il nostro rapporto col corpo e col sesso; il denaro, ovviamente. E ancora più ovviamente, internet. Un incontro dura al massimo 25 minuti, ma spesso meno di 10, di 5: è il minutaggio perfetto per un video su YouTube, e sono minuti di climax costante, senza allentamenti della tensione, senza pause: un fiotto di adrenalina inscatolato alla perfezione. Meno forte della cocaina, però gratis. Senza internet sarebbe rimasto un vizio clandestino da Fight Club; con internet, è diventato un passatempo domestico come… il porno. La téchne: sempre lei.

Alessandro Dal Lago, Sangue nell’ottagono. Antropologia delle arti marziali miste, Il Mulino 2022.

Condividi