Libri

Iter Iaponicum

Il filologo coscienzioso, quando va all’estero, soprattutto se si tratta di estero un po’ esotico, dopo le passeggiate, le gite al museo e lo shopping, cerca la o le biblioteche più importanti della città e ci va per vedere se ci sono manoscritti interessanti, sconosciuti o malnoti: dà un’occhiata al sito della biblioteca, domanda ai bibliotecari di vedere i cataloghi, e càpita che i cataloghi non esistano proprio, o che siano solo dei fogli di carta con una sommarissima descrizione del contenuto del codice X («Poesie italiane») o dell’incunabolo Y («Decamerone, 1471»). Allora la cosa si fa anche più interessante, perché può darsi che questi libri non siano mai stati studiati a dovere, e che dicano qualcosa di nuovo sui testi che trasmettono o sulla storia della loro tradizione e ricezione: se il filologo coscienzioso è in viaggio coi suoi cari, li lascia al loro destino, si accomoda al tavolo e aspetta che gli portino i volumi che ha richiesto.

Questo è il filologo in vacanza. Ma naturalmente c’è un modo meno occasionale, più sistematico di agire. Subito dopo la Seconda guerra mondiale, il grande filologo Paul Oskar Kristeller cominciò a lavorare a un’impresa immane: il censimento di tutti i manoscritti umanistici custoditi nelle biblioteche italiane, poi – la ricerca proseguendo negli anni – in quelle europee e mondiali. Intitolò Iter italicum i volumi che prese a pubblicare a partire dal 1963, alludendo ai vari itinera che gli studiosi avevano compilato nel corso del Settecento e dell’Ottocento.

Nella premessa al primo volume dell’Iter Kristeller spiegava la differenza tra l’ispezione casuale (il filologo in vacanza) e il suo approccio sistematico: «Ho prima consultato tutti i cataloghi o gli inventari disponibili in loco, e poi guardato e descritto quanti più manoscritti potevo, per il tempo che avevo a disposizione. In altre parole, l’obiettivo non è stato solo quello di fare delle scoperte casuali di testi o manoscritti, scoperte che potevano essere annunciate nelle riviste specializzate […], ma quello di coprire l’intero campo d’indagine mettendo a frutto le mie conoscenze e quelle accumulate dagli altri studiosi».

Oltre a dare una chiara rappresentazione degli obiettivi della ricerca, queste parole richiamano l’attenzione su un fatto che ha sempre entusiasmato i lettori di Kristeller, per lo più letterati solipsisti, cioè che Kristeller ha lavorato sempre da solo, anche se contando sull’aiuto dei molti colleghi e bibliotecari che non si stancava di ringraziare nelle sue introduzioni ai volumi dell’Iter; questo aspetto umano, esperienziale del suo lavoro ha saputo esprimerlo con parole commoventi: «Mi dispiace non poter riferire … le indimenticabili esperienze che hanno accompagnato la realizzazione di quest’opera: le cose belle che ho visto e gli incontri personali, i molti episodi bizzarri, la tensione della ricerca, e la sorpresa delle scoperte. Questo libro contiene soltanto l’arido e condensato risultato delle mie indagini, ed esso non può certo evocare nel lettore gli stessi vividi ricordi che evoca in colui che lo ha compilato».

Trattandosi di una somma di schede, un censimento è per forza di cose, per usare le parole di Kristeller, un oggetto «arido e condensato», ma se interrogato adeguatamente può dare origine a ricerche anche ambiziosissime: è il data base inerte che l’intelligenza dello studioso deve saper attivare. Per questo va accolto con molto favore il progetto di catalogazione dei manoscritti e dei libri italiani antichi conservati nelle biblioteche giapponesi avviato dal filologo Marco Limongelli, che insegna Letteratura italiana all’università di Kyoto.

I rapporti tra l’Italia e il Giappone sono più radi e recenti rispetto a quelli tra l’Italia e un qualsiasi paese europeo, onde la necessità di estendere la ricerca, oltre che ai manoscritti, agli incunaboli e alle cinquecentine, in un’ottica attenta più alla storia della cultura che alla ricerca dell’inedito. Salvo errore, di manoscritti negli Alia itinera (i supplementi extra-europei) di Kristeller ne è registrato solo uno, una miscellanea di epistole umanistiche conservata alla Biblioteca Universitaria di Tokyo. Ma già ora Limongelli ha incrementato quel magro bottino segnalando tra l’altro un frammento cinquecentesco dei Fragmenta petrarcheschi (alla Senshu University), un testimone quattrocentesco della Sfera del Dati (alla Tenri University), e, sparsi tra le biblioteche delle università giapponesi, numerosi campioni di scritture notarili e contabili. Tra i libri antichi, le varie edizioni della Commedia commentata da Cristoforo Landino, la princeps del Convivio (Bonaccorsi, 1490) e poi, addentrandosi nel Cinquecento, le aldine del Canzoniere, della Commedia, del Cortegiano.

Si tratta per lo più di manoscritti e stampe portate in Giappone da bibliofili nel corso degli ultimi due secoli, testimonianza cioè non di un legame storico ma di un interesse erudito, collezionistico; oppure di volumi acquistati dalle università giapponesi nell’ultimo quarto del Novecento, all’epoca dello yen onnipotente. Le biblioteche dell’Università di Kyoto, in particolare, sono state benedette dalla generosità di mecenati, diplomatici, alumni, e spiccano tra gli altri il fondo Ueno, una collezione di 27.000 volumi donata da Seiichi Ueno (1882-1970) e dal figlio Junichi (1910-1997), già proprietari di uno dei più grandi quotidiani giapponesi, l’Asahi Shimbun; il fondo antico di Sir Ernest Mason Satow (1843-1929), ambasciatore inglese, pioniere degli studi sull’editoria gesuita (The Jesuit Mission Press in Japan, 1591-1610); e la collezione dantesca donata poco prima della morte da Jukichi Oga (1865-1938), giornalista, corrispondente commerciale e studioso di Dante (A Dante Bibliography in Japan). Ma non mancano neppure – e qui è lo speciale interesse della ricerca – documenti genuini dell’attività culturale svolta dai gesuiti in Giappone a partire dal secondo Cinquecento: martirologi, collezioni di notabilia, notizie sull’attività missionaria in Asia e sui costumi dei popoli da evangelizzare, sicché i dati raccolti in questo Iter Iaponicum potranno servire tanto ai filologi quanto ai cultori di Global history nella prima età moderna.

Nel 1994, licenziando gli indici dell’ultimo volume dell’Iter Italicum, Kristeller si augurava che la tradizione filologica da lui rappresentata venisse «portata avanti a lungo da parte di competenti giovani studiosi». Per la sua parte, e tra comprensibili difficoltà (l’ostacolo della lingua, le carenze nella catalogazione, una burocrazia spesso macchinosa, la dispersione dei materiali), l’Iter Iaponicum intende soddisfare questo auspicio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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