C’è il sole ma un vento gelido spazza l’Italia centrale. Alla stazione di Orvieto scalo mi rifugio nel bar per ripararmi dal freddo. Davanti a me i binari, poi l’Autostrada del Sole, più in là passa un Frecciarossa. Tante Italie a velocità diverse in pochi metri. Salgo su un regionale diretto a Roma dove vado a rendere omaggio a Tullio De Mauro, morto ieri a 84 anni. Conosco l’esatta data di nascita: 31 marzo 1932 perché è la stessa di mio padre. Con Sabina, figlia di Tullio, c’eravamo spesso ripromessi di farli conoscere, convinti che si sarebbero piaciuti, al di là della coincidenza anagrafica.
Il saluto al Professore avviene alla Sapienza che in questa giornata di festa è vuota e risaltano le sue architetture metafisiche. È l’ora di pranzo, non è il momento delle autorità, così riesco a salutare il figlio Giovanni e a parlare con calma con Sabina. La Sapienza è il luogo giusto per omaggiarlo: qui De Mauro si è laureato col fascistissimo e competente Pagliaro, qui è stato allievo e poi giovane collega di grandi studiosi come Schiaffini, Sapegno, Praz, Calogero, Garroni e molti altri. La sua naturale curiosità, la sua propensione verso l’altro, cosi poco diffusa tra gli studiosi di casa nostra, si manifestava già nell’aspetto fisico (le grandi orecchie, l’occhio leggermente sporgente). Se aggiungevi la leggera inflessione napoletana, l’uso di qualche espressione dialettale nel parlato, era lecito pensare che sarebbe stato facile metterlo in caricatura. Avveniva l’opposto: pur nella massima serietà di modi l’ironia del Professore smontava la seriosità, il luogo comune, con una battuta. Tanto poteva essere brillante, a volto addirittura pirotecnico nella conversazione, quanto era sorvegliato nell’uso della lingua, che doveva essere compresa dal maggior numero di persone possibili.
L’approccio pedagogico, da illuminista napoletano, gli era connaturato. Io l’ho conosciuto nelle mie prime esperienze lavorative, poi mi faceva piacere metterlo a conoscenza delle cose di un certo rilievo che facevo. Ci fu qualche occasione di lavoro diretta, in particolare per un’introduzione di un libro di Eduardo Rescigno per Hoepli. Mi mandò una prima versione del testo e segnalai che si potevano fare alcune integrazioni. Senza prendermi alla lettera mandò nel giro di qualche giorno una versione più completa. Pur mantenendo con lui una relazione intellettuale, per me è stato soprattutto il padre di Sabina. Ricordo in una vacanza, in tempi prima dei telefonini, la sua quotidiana telefonata serale alla figlia. Era solo a Roma in agosto, credo per correggere le bozze del grande dizionario che porta il suo nome. Questa sua enorme, pacata, capacità di lavoro è stato un altro dei suoi tratti tipici, un modo naturale di sciogliere le nevrosi che ciascuno di noi porta con sé.
Mi ritrovavo sopratutto nella sua idea di cultura come fondamento della convivenza civile, anche se, nello specifico, gli ho invidiato di aver ricevuto da Totò un servizio di piatti completo, dopo aver scritto un saggio su di lui. Tullio De Mauro, oltre che un impeccabile civil servant, è stato un maestro in un’epoca in cui i maestri venivano contestati, poi sostituiti da pallide imitazioni, in attesa della tabula rasa. Però è meglio concludere dicendo che la frase di Gramsci sul pessimismo della ragione e l’ottimismo della volontà sembra sia stata scritta per lui.