Parrà strano, ma pochi settori della storia letteraria italiana sono tanto vitali come gli studi sulla poesia del pieno e del tardo Trecento. Nei mesi scorsi abbiamo avuto nuove eccellenti edizioni critiche, di poeti non grandi ma cruciali come Fazio degli Uberti, a cura di Cristiano Lorenzi, e Boccaccio, a cura di Roberto Leporatti. Ora un volume curato da Simone Albonico, Marco Limongelli e Barbara Pagliari fa qualcosa che bisognerebbe fare più spesso, cioè coniuga filologia e storia, ossia ridescrive un pezzo di storia letteraria italiana ragionando sulla tradizione dei testi, ed editando, o annunciando l’edizione di testi inediti o malnoti.
La storiografia letteraria italiana ha, quanto al Medioevo, una comprensibile tendenza a fare centro sulla Toscana. Comprensibile sia perché è in Toscana che sono nati gli autori più grandi (e tra gli altri i due che ho nominato sopra), sia perché la poesia delle altre regioni nasce o si sviluppa soprattutto grazie allo stimolo che le vengono dagli autori toscani, letti nei manoscritti (e diventa allora importante studiare, di questi manoscritti, la formazione e la circolazione) o fisicamente presenti nelle città e nelle corti del centro-nord (e diventa allora importante raccogliere negli archivi le tracce di queste presenze): esemplare proprio il caso di Fazio, che nasce probabilmente a Pisa all’inizio del secolo ma passa poi gran parte della sua vita tra Verona, Milano e Bologna.
Ora, non che manchino le cose da chiarire e approfondire, sulla letteratura toscana del secondo Trecento, e i testi da editare o rieditare (è appena uscita, curata da Michelangelo Zaccarello, una nuova edizione critica del Trecentonovelle di Sacchetti); ma è bene che – come hanno fatto in questi anni – gli studi si orientino anche su quelle micro-tradizioni che arricchiscono e complicano la geografia letteraria italiana tra Tre e Quattrocento. Anche perché si tratta di micro-tradizioni relativamente autonome l’una dall’altra: tutte risentono, in vario modo, dei grandi modelli duecenteschi e primo-trecenteschi, tutte fanno i conti, insomma, con lo stilnovo, Dante lirico e comico, Petrarca; ma i poeti che scrivono a Milano, Treviso, Verona, Orvieto, Napoli nel corso del Trecento hanno poi un’identità abbastanza spiccata da dover essere letti e studiati non come epigoni ma come innovatori: per quanto mediocri, per quanto incapaci di comunicare le loro innovazioni al di fuori delle loro enclaves. Inoltre, se la qualità letteraria lascia spesso a desiderare, questi testi periferici hanno altrettanto spesso un reale interesse storico: perché oltre che d’amore e morale parlano degli eventi dei quali i loro autori sono stati testimoni, e di figure di spicco nella storia d’Italia del Trecento. Un secolo fa, Carlo Cipolla e Flaminio Pellegrini riunirono insieme le Poesie minori riguardanti gli Scaligeri (si trova online): antologie del genere, organizzate per area e/o per epoca, o per tema, potrebbero essere un buon modo per fare storia della letteratura trecentesca, un modo interessante sia per i filologi sia per gli storici.
Considerazioni simili a queste hanno, credo, ispirato il lavoro degli studiosi che hanno contribuito al volume Valorosa vipera gentile. La Vipera del titolo è quella che campeggia nello stemma nobiliare dei Visconti: gli interventi riuniti nel libro cercano infatti di far luce sulla letteratura alla corte viscontea nel Trecento e nel primo Quattrocento.
Non è un compito facile. Perché – come spiega Teresa Nocita nel suo saggio – dalla Milano viscontea non risulta sia uscita neppure “una raccolta poetica politicamente e geograficamente connotata, come accade ad esempio a Bologna con il codice Isoldiano e a Firenze con la Raccolta Aragonese”. Manca insomma il monumento, l’antologia di poeti gravitanti attorno alla corte, ma non mancano i documenti, cioè i testi di dedica ai Visconti, o di pertinenza milanese, testi che i contributori al volume riescono a far parlare con – tra l’altro – un’esemplare sobrietà, cioè senza chiacchiere inutili: un piccolo gruppo di rime d’occasione di Fazio (Cristiano Lorenzi); alcuni passaggi del Dittamondo dello stesso Fazio (Nadia Bellato); gli elogi a Gian Galeazzo (chissà se giunti a destinazione) di Francesco di Vannozzo (Roberta Manetti); le poesie minori scritte alla corte di Bernabò e Gian Galeazzo (Marco Limongelli); i cantari per la morte di Gian Galeazzo scritti da Pietro da Siena (Barbara Pagliari); le rime dell’aretino Giovanni de Bonis, uno di quei toscani in viaggio che trovò ospitalità, ormai a fine secolo, alla corte del Conte di Virtù (Barbara Pagliari). A parte sta il contributo di Albonico, che presenta un testo in prosa offerto a Filippo Maria Visconti, un volgarizzamento della Storia delle crociate di Guglielmo di Tiro, ma un volgarizzamento ritoccato, integrato a fini encomiastici da un anonimo scriba-scrittore pavese.
Come ogni libro di ricerca serio, anche questo, mentre fa il punto su molte questioni e risponde a molte domande, aiuta a formularne altre. Intanto, si tratta per lo più di lavori preparatori a edizioni che verranno: quando si avranno le edizioni, sarà anche possibile scrivere il saggio di sintesi sulla letteratura d’età viscontea che nel volume, comprensibilmente, manca (ma molto più della cornice si trova già nel breve saggio introduttivo di Albonico al volume). In secondo luogo, è questo uno di quei casi in cui il dialogo con le altre discipline può rivelarsi davvero fecondo: con gli studi storici, ovviamente, ma soprattutto con gli studi di storia dell’arte. Nel suo contributo, Albonico accenna alle miniature del codice pavese che ha studiato, ma passando la pratica, com’è giusto, agli esperti (e immagino che l’occasione per un dialogo potrà essere la mostra sull’Arte lombarda dai Visconti agli Sforza che s’inaugura tra qualche mese a Milano). Infine, è ben vero che, come ho detto, le tradizioni letterarie regionali hanno, nell’Italia del secondo Trecento, una relativa autonomia; ma è anche vero che (lo fa pensare soprattutto il saggio di Teresa Nocita) seguendo il filo della tradizione manoscritta e della storia delle forme è forse possibile isolare tendenze diciamo sovramunicipali o, se non tendenze, problemi comuni di fronte ai quali i poeti e i lettori nati dopo Petrarca e Boccaccio hanno reagito in maniera volta a volta diversa, e che può essere interessante approfondire (la ricezione della Commedia e il riuso della terzina nei poemi narrativi, per fare il primo esempio che mi viene in mente, variano ovviamente nel tempo e nello spazio, ma ammettono anche certamente di essere studiati in un’ottica panitaliana).
Valorosa vipera gentile. Poesia e letteratura in volgare attorno ai Visconti fra Trecento e primo Quattrocento, a cura di Simone Albonico, Marco Limongelli e Barbara Pagliari, Roma, Viella 2014.