[Corriere di Bologna, 12 ottobre 2013]
Qualche giorno fa, l’Ocse ha diffuso i risultati di un’indagine sulle competenze di base delle popolazioni dei paesi sviluppati. Come tutte le indagini, si presta a qualche critica. Ma è difficile negare che i risultati siano solidi. E che siano disastrosi. Gli italiani sono letteralmente in fondo classifica praticamente in tutte le competenze minime necessarie per condurre una vita civile: leggere, scrivere, fare di conto. Diciamola tutta, siamo un paese di asini.
E’ interessante come tutto questo non sia una novità. La ricerca Ocse conferma in modo sistematico cose già note. Forse riusciamo così bene ad evitare il confronto con la realtà solo perché non abbiamo neanche le competenze minime per leggere queste ricerche. Torna, maestro Manzi, il paese ha bisogno di te.
Complice un confortevole stipendio statale, il sottoscritto riesce ad osservare i problemi del paese con un discreto distacco. L’instabilità politica sarà un problema. Che ci regala tuttavia vere e proprie gemme quali l’indimenticabile intervento di Scilipoti, epifania trasversale di tutta la vita politica. Persino il livello del debito pubblico mi emoziona poco. So bene che, dopo avere determinato buona parte della mia vita, il debito farà lo stesso con quelle delle mie giovani figlie. Eppure, suscita più rassegnazione che indignazione.
Sarà per deformazione professionale, ma l’unico problema che invece trovo pressante e inevitabile è quello delle scarse competenze cognitive della popolazione italiana. Quando ho provato a parlare della ricerca Ocse a lezione, sfruttando il fatto che agli inizi del semestre ci si può prendere qualche libertà col programma, ho capito subito una cosa: nessuno degli studenti in aula sapeva della ricerca. Quando ho finito di parlarne, è stato facile capire che il livello di interesse che avevo suscitato era pari a quello di un quindicenne che riceve un Blackberry. E’ dei giovani essere inconsapevoli. Ma qui la disattenzione è universale. Prima di andare a lezione, avevo velocemente acceso il computer e abbandonato sulla scrivania il giornale appena comprato. Tornato, non ho potuto fare a meno di accorgermi che schermo e pagina raccontavano due storie diverse. Sul sito del New York Times, i risultati della ricerca occupavano almeno un quarto del video. Si noti che la popolazione degli Stati Uniti, che gli intellettuali italiani amano pensare sempliciotti, ha conseguito risultati discreti. E che il paese è alle prese con le paralisi finanziaria del governo federale. Sul giornale italiano, che la sorte aveva fatto finire sulla tastiera, c’era invece un quadretto in prima pagina che rimandava a un articolo – peraltro ben fatto – a pagina 29. Nonché a una facile ed ideologica polemica sulle politiche scolastiche.