[Domenicale del Sole 24 ore, 30 giugno 2013]
Non capita quasi mai: aver fretta di tornare a casa per vedere come va a finire non un giallo o una serie televisiva ma un saggio. A me è capitato adesso col nuovo libro di Lucio Russo, L’America dimenticata, e vorrei che il maggior numero possibile di persone condividesse quest’esperienza.
Io sono un ammiratore di Russo da tempo, sia per i suoi libri sulla scuola (Segmenti e bastoncini, La cultura componibile) sia per i suoi libri di storia della scienza (La rivoluzione dimenticata, Ingegni minuti). A parte sapere un’infinità di cose, a parte essere cristallino nell’argomentazione, a parte scrivere con un’eleganza che si trova di rado anche nei libri dei letterati, Lucio Russo ha questa caratteristica rara: conosce la scienza e la storia della scienza e, insieme, possiede una vera cultura umanistica. Vale a dire per esempio che Archimede lo legge in greco, e capisce sia la sua lingua sia le sue teorie: non credo siano competenze che, a questo livello, si trovano spesso nella stessa persona.
Questo sapere è messo a frutto anche in altri suoi libri, ma in L’America dimenticata c’è un salto di livello, perché attraverso la lettura dei geografi e dei matematici antichi Russo ritiene di poter spiegare la genesi di due errori commessi da Tolomeo nella sua Geographia. Il primo errore consiste nella dilatazione delle distanze angolari tra i meridiani terrestri; il secondo consiste nell’aver considerato la Terra molto più piccola di quanto è in realtà: realtà che era già nota, invece, al matematico greco Eratostene. Questi errori si spiegherebbero alla luce del fatto che Tolomeo identificò le cosiddette «Isole Fortunate» – il punto più occidentale dell’orbe conosciuto – nelle Canarie, laddove per i geografi d’età ellenistica le Isole Fortunate corrispondevano alle Piccole Antille: il che fa supporre che, prima del vero e proprio collasso culturale che travolse la civiltà mediterranea nel corso del II secolo a.C., gli antichi navigatori erano giunti sino a quella «America dimenticata» che dà il titolo al saggio.
Io non sono in grado di dire se le argomentazioni di Russo saranno abbastanza solide da resistere alle critiche dei competenti: e vedo bene che questo libro – sollecitando dati e ambiti di conoscenza tanto disparati – pare fatto apposta per irritare quelle care piantine da vivaio che, con i loro ‘prodotti della ricerca’, popolano i dipartimenti universitari. Questo non è un compitino. Ma lasciando appunto agli specialisti il giudizio, e augurandomelo meditato e sereno, quello che posso dire è che da L’America dimenticata il lettore non competente ma interessato, e disposto a fare un po’ di fatica, impara, con gioia inaspettata, molte cose, e tra l’altro a porsi delle domande serie su argomenti seri. Non so di quanti altri libri usciti in questi decenni si possa dire lo stesso.