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Nella miscela di cose che sono gli Elio e le Storie tese si fa ovviamente fatica a distinguere l’apporto dell’uno o dell’altro membro del gruppo, e forse la distinzione è vana perché, prima di essere persone che suonano insieme, gli EelST sono amici, e da amici condividono molte opinioni e molti gusti e disgusti. Ma è poi un fatto che il nome «Elio e le storie tese» – trovato ormai trent’anni fa – spiazza un po’ ed è un po’ ingiusto, con «Elio» in primo piano e tutti gli altri nelle retrovie, cioè non corrisponde più bene allo stato dei fatti, perché l’impressione è che gli EelST funzionino come una squadra, una cooperativa di eguali: ma per davvero.
Comunque è chiaro che appartiene a tutti gli EelST la fissazione sugli oggetti quotidiani, sulle marche, la simpatia per tutte le infinite cose inutili – leggende metropolitane, spot televisivi, cartoni animati giapponesi, liquori da poveri (il Vov, lo Zabov) – che dagli anni del boom in poi ci hanno invaso l’esistenza: è un pezzo dell’immaginario della loro generazione diventato quasi naturalmente uno degli ingredienti principali delle loro canzoni. È bello ascoltarli e ritrovare il Garelli, le Tepa, la pistola Oklahoma… Ma, anche se l’ossessione è di tutti, questa ipersensibilità allo squallore moderno, che affiora a momenti nelle canzoni, dev’essere soprattutto una qualità di Rocco Tanica, un modo di vedere le cose soprattutto suo.
Questa è la dedica che apre il suo libro Scritti scelti male, Bompiani 2008:
La parte toccante che tira in ballo i sentimenti intorno a pagina 70 è dedicata ai praticanti anziani del Falun Gong, allo zoccolino battiscopa in Klinker e ad un uomo alto che impersona Madre Teresa di Calcutta per scherzo […]. Dedicato al cane grasso di una coppia di spagnoli intravisti nella fila al bar del traghetto Barcellona-Genova nel 1985, con lo stesso tormento di allora.
Tutto il libro è pieno di questa – come definirla? – tenerezza per la realtà, per le cose strane o squallide o anche semplicemente ordinarie che si vedono in giro. La stessa tenerezza si trova anche nelle canzoni degli EelST (il battiscopa in Klinker vale l’elegia del box doccia in Plafone, o i Fonzies di Tapparella), ma è chiaro che lo spazio del racconto (Scritti scelti male sono tutti racconti brevi) permette di fare cose che nel testo di una canzone non si possono fare: per esempio narrare, o descrivere distesamente, o parodiare i generi letterari. Qui per esempio non veramente un genere ma un dispositivo, le didascalie dei copioni teatrali:
Scena: entroterra di Ancona. Una mansarda arredata per metà con gusto. Due porte. In un angolo, un televisore trasmette “Sorgente di vita” col volume a zero.
Buio. Si inculano. Musica: “Rock’n’roll robot” di Alberto Camerini sovrapposta allo “Studio n. 15″ per pianoforte di Muzio Clementi.
Il risultato è che Scritti scelti male fa ridere, nel senso preciso di ridere facendo rumore, nel senso precisissimo che, leggendolo nella sala riservata della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, ho dovuto lasciare la sala – lo stomaco stretto e le lacrime agli occhi – per non disturbare gli altri lettori. Ricordo molti film o sketch televisivi, ma non un altro libro che mi abbia fatto questo effetto.
Scritti scelti male è un libro pieno di delizie, e delizie molto diverse tra loro. Ma, dovendo scegliere tra i vari registri, due soprattutto mi sembrano quelli che Rocco Tanica adopera con più intelligenza, e che fanno più ridere.
Il primo registro è quello di una prosa straniata, impassibile, alla Buster Keaton. Per esempio quella del giornalista musicale che crede di intervistare Janis Joplin e invece intervista una che si fa passare per Janis Joplin, che parla italiano senza accento e ha imparato tutto su Janis Joplin da internet.
Le chiedo per che squadra tiene.
– Udinese […]. Sta di fatto che il 4 ottobre 1970, seguendo di pochi giorni l’altro ‘eroe e martire’ del rock Jimi Hendrix, venni trovata mort… voglio dire, insomma… Ehm, che ne dici di andare a mangiare qualcosa?
– Cosa hai detto? Cosa cazzo hai detto?
– Sta’ a sentire. Lo stadio Friuli di Udine è fuori legge: scade il 31 dicembre la deroga all’attuazione delle modifiche previste dal decreto Pisanu. Lo ha ribadito il questore Padulano, precisando che se non saranno realizzate le infrastrutt…
Mi getto su di lei, urlando.
Oppure il diario del tale che, per pura distrazione, uccide John Kennedy:
All’interno di un deposito di libri maneggiavo incuriosito un’arma legalmente acquistata e detenuta da un amico, che si chiamava Mannlicher Carcano. Approfittando di una momentanea assenza dell’amico, impiegato nello stesso deposito e che conoscevo in quanto marito di una sua conoscente, Marina Prusakova, ho utilizzato l’arma – da me ritenuta scarica – in modo maldestro e del tutto inappropriato, fino ad esplodere accidentalmente alcuni colpi fuori della finestra, verso una zona alberata e priva di edifici […]. A distanza di anni […] ho saputo che la mia dabbenaggine ha prodotto conseguenze assai gravi: due persone hanno perso la vita, un’altra ha riportato ferite profonde…
Il secondo registro è la mimesi comica dei gerghi professionali. Un altro giornalista musicale che scrive con tutti i tic, le mossette, la retorica dei giornalisti musicali:
Un ragazzo invecchiato dall’aria tranquilla, lontano dagli eccessi furibondi e rosei di “Waling the Bargain”, questo mi sembra mentre lo abbraccio senza parlare. Lui tiene le braccia lungo il corpo […]. Sembra volare con ali di pietra sopra strade di calce.
Oppure la lingua posticcia delle guide turistiche e dei blasoni cittadini:
Genova, in Liguria, città finalista del concorso ‘Capoluogo con il nome più lungo’, categoria fino a sette lettere; Genova segreta dei carruggi, del nocino, del tennis-tavolo femminile giovanile; Genova affacciata sui monti con le spalle al mare. Genova della grande utopia camalla; Genova città nota in tutto il mondo per le sue caratteristiche […]. Ecco allora apparire dai drappeggi del suo naturale pudore la Genova che ti sorprende e ti innamora con il cosiddetto ‘pesto’, uno dei segreti meglio custoditi della cucina locale…
O il gergo para-scientifico delle schede tecniche dei cani con pedigree:
Il musello, di lunghezza media e arrotondato nella parte superiore, cadeva bruscamente sotto gli occhi. Le labbra, aderenti e unite, non presentavano parti lasse; guance e relativi muscoli erano molto pronunciati, le mascelle ben disegnate (quella inferiore forte e potente nella presa) con articolazione a forbice; il tartufo nero. La testa era di lunghezza media e alta, cranio largo e stop netto. Il collo, appena convesso e di lunghezza media anch’esso, si assottigliava dalle spalle in direzione della testa. I fanoni? I fanoni erano assenti…
È, asciugato, concentrato, lo stesso mimetismo che rende perfette canzoni come La bella canzone di una volta (musica e parole prese dagli anni Venti), o come Indiani A caval donando (musica e parole prese dai film western):
http://www.youtube.com/watch?v=lf1zDquXLNM
http://www.youtube.com/watch?v=at6TpAtMHkQ
Chi non ne ha abbastanza di Scritti scelti male può leggere o rileggere i capitoli scritti da Tanica nell’autobiografia del gruppo che s’intitola Vite bruciacchiate (Bompiani 2006). In particolare, L’ultimo dei romantici racconta della collaborazione degli EelST al film porno Rocco e le Storie Tese, con Rocco Siffredi. Nessuno scrive come David Foster Wallace: nemmeno Rocco Tanica, naturalmente. Ma l’intelligenza che c’è in L’ultimo dei romantici non è meno penetrante di quella che in Il figlio grosso e rosso di Wallace illumina il festival del cinema porno a Las Vegas, e senza l’amarezza che l’intelligenza di solito – e in Wallace quasi intollerabilmente – porta con sé. Perché a differenza di Wallace, Rocco Tanica tiene separati i registri. In Vite bruciacchiate c’è un suo ricordo dell’amico Feiez, morto improvvisamente a trentasei anni: ricordo straziante, e scritto magnificamente. Quando però si scherza, si scherza sul serio – come in questa perfetta variazione su una leggenda metropolitana, cioè sulla leggenda metropolitana che gli EelST hanno riesumato nella canzone Mio cuggino:
Un ragazzo incontra un’affascinante sconosciuta ad una festa. Lei è molto seduttiva, lui la invita a casa sua e fanno l’amore. Quando l’indomani il ragazzo si sveglia la donna non c’è più, ma ha lasciato sullo specchio una frase scritta col rossetto: «Benvenuto nell’AIDS». Nello stesso momento lei, ormai lontana, apre la borsetta e trova un biglietto con scritto: «Benvenuta nell’AIDO (Associazione Italiana Donatori Organi)». Si dà una controllata, e non ha più la figa.