Cultura e società

“Fare gli italiani”. 150 anni di storia nazionale


[Torino, Officine Grandi Riparazioni, fino al 20 novembre 2011]

Tra i tanti settori della vita culturale e civile che separano il nostro Paese dal Nord e dall’Occidente, ce n’è uno, sicuramente meno decisivo dell’efficienza dei trasporti pubblici o della selezione delle classi dirigenti, che non può non colpire il turista italiano che capiti in un qualsiasi museo di storia di una capitale europea. Non solo in Italia ce ne sono pochi, di musei storici, ma di rado – simili in questo a ogni istituto museale nostrano – riescono a essere efficacemente didattici, se non addirittura – why not? – divertenti e capaci di lasciare a bocca aperta il visitatore non tanto di fronte al singolo oggetto quanto alla genialità dell’esposizione. La mostra Fare gli italiani può invece reggere il confronto con i magistrali Deutsches Historisches o Jüdisches Museum di Berlino, i monumenti con cui la Germania riunita esibisce l’elaborazione del proprio passato.

Già lo spazio in cui è ambientata la mostra torinese è carico di significato: nelle Officine Grandi Riparazioni si è effettuata la manutenzione del materiale ferroviario dagli albori dell’industria – e della nazione, che sui trasporti si costruisce non meno che sulle guerre e la scuola – fino all’abbandono post-industriale. La vicenda dell’edificio riassume quella economica del Paese, ma gli spazi immensi delle OGR offrono anche a chi ne ignori l’origine suggestioni ambientali: come ogni luogo di archeologia industriale, sanno indurre sentimenti non dissimili da quelli delle cattedrali e in virtù di una fruizione similmente decontestualizzata ed estetizzata.

I curatori della mostra hanno saputo fare un uso sapiente di questa vastità disponendovi in percorsi sia cronologici che tematici i nostri 150 anni di storia. Quella che si snoda sotto le capriate enormi dei capannoni è innanzitutto una raccolta di oggetti emblematici: dagli attrezzi contadini di legno ai trattori della Fiat alla Cinquecento, dai busti dei padri (e madri) della patria ai fazzoletti partigiani ai manifesti delle prime elezioni del ’48, dagli attrezzi di uno studio televisivo degli anni Sessanta a un’incredibile scultura per processione, costruita negli anni 2000 ma dal kitsch autenticamente ottocentesco, sconvolgente non contemporaneità del contemporaneo.

L’unica sala tradizionalmente museale del percorso è la seconda, che accoglie i dipinti che hanno costruito l’immaginario iconico del Risorgimento: ma la storia dell’Italia unita è tutta moderna, e a dominare è perciò la documentazione fotografica, originale, riprodotta o montata in documentari. I video sono incastrati nelle teche o montati all’apertura dei pannelli esplicativi, il supporto informativo più tradizionale della mostra ma dall’intelligente layout grafico.

Il racconto passa attraverso la parola scritta e l’immagine, ma naturalmente anche attraverso il sonoro, che solo raramente è reperto d’epoca, più spesso voce dello storico o racconto teatralizzato. Una delle inversioni a U del percorso segna il passaggio tra Otto e Novecento: qui si incunea una piccola cavea teatrale, dove uno schermo proietta frammenti del cinema che ha raccontato la storia d’Italia. L’uso delle risorse tecnologiche per sollecitare i sensi e le emozioni dei visitatori culmina nelle creazioni multimediali che individuano il senso di alcune delle grandi stazioni, cronologiche o tematiche, del percorso.

Le animazioni puntano ora sull’effetto spettacolare, come le ouvertures operistiche animate su proscenî di città (tra le varie animazioni teatrali filmate per la mostra, sicuramente la più efficace); ora hanno valore documentario, come i racconti di emigrazione e immigrazione che calano sul visitatore da un enorme ammasso di valigie, mentre ai suoi piedi appare la proiezione di oggetti-simbolo del racconto; ora sono vere e proprie creazioni artistiche originali, come la straordinaria animazione grafica e sonora che sintetizza il significato del percorso sulla partecipazione politica, dalle prime associazioni di lavoratori all’impero della politica televisiva.

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