Istruzione

E se la spiegassimo diversamente? (Sulla grammatica a scuola)

Domenicale del Sole 24 ore

Alcuni anni fa, durante gli esami di Letteratura italiana all’università, ho cominciato a fare agli studenti precise domande di grammatica (qual è il soggetto di questa frase? Questo è un pronome o un aggettivo? Mi dice modo e tempo di questo verbo?) perché mi sono accorto che gli studenti ignoravano anche i più semplici concetti grammaticali, e in generale non sapevano fare l’analisi del periodo, o adoperare la più elementare nomenclatura linguistica. Qualche anno dopo ho smesso, non perché gli studenti rispondevano bene, ma perché praticamente tutti rispondevano male o tacevano: tanto valeva accettare il fatto che «è andata così», incolpando i negligenti insegnanti della secondaria, della primaria, del nido. Oppure, più indietro ancora, incolpando Tullio De Mauro e i demauriani, che negli anni Settanta avevano scavato sotto le fondamenta dell’edificio Grammatica facendolo vacillare, cadere, e lasciando a me, a noi queste rovine (anno 1975, Dieci tesi per un’educazione linguistica democratica del GISCEL: «Tesi VIII.D: inutilità dell’insegnamento grammaticale tradizionale rispetto ai fini primari e fondamentali dell’educazione linguistica […]; nocività dell’insegnamento grammaticale tradizionale»).

O no? In tre articoli pubblicati in queste settimane dalla rivista del Mulino online, uno dei maggiori linguisti italiani, Mirko Tavoni, fa osservare una di quelle tante cose che a scuola «si sanno», ma su cui non sembra si sia riflettuto a sufficienza, ovvero che l’importanza delle idee e della personalità di De Mauro è stata grande, ma in realtà a scuola si è continuato e si continua ad insegnare la grammatica adoperando manualoni da due chili «tutti uguali fra loro, e indistinguibili dai manuali di un imprecisabile numero di decenni precedenti […], perfetti esemplari di quella “pedagogia grammaticale tradizionale” che De Mauro definiva parziale, inutile e nociva 50 anni fa»; e tutti sono impostati secondo la «classica successione Ortografia – Morfologia – Sintassi».

Dunque, la grammatica si studia oggi come si studiava ai bei tempi. Solo che – lo testimoniano le prove INVALSI, oltre all’esperienza del sottoscritto – una cospicua maggioranza di studenti non la impara più (e magari non la imparava nemmeno un tempo: ma un tempo nei confronti della maggioranza non vocata allo studio si era meno solleciti). Che fare? Ancora più grammatica? Tre chili anziché due? Non sembra una scelta sensata. Gli articoli di Tavoni sono interessanti perché, dopo aver criticato l’esistente, Tavoni propone molto chiaramente che cosa, a suo parere, si dovrebbe fare.

Il lettore interessato (e speriamo che soprattutto gli insegnanti lo siano) può leggere le sue argomentazioni sul Mulino online. Dato però che tutti hanno poco tempo e la questione è importante, ho fatto un’altra delle cose che i giovani d’oggi non sembrano fare più (oltre a imparare la grammatica): gli ho telefonato, e gli ho chiesto di spiegarmi in breve la sua proposta.

«Il nucleo della proposta – mi ha detto – è che non bisogna insegnare la grammatica come un insieme di norme da imparare faticosamente, ma far leva sul fatto che l’italiano è la lingua materna dello studente, e quindi renderlo consapevole che nella sua mente c’è un formidabile software grazie al quale lui parla e capisce chi gli parla».

Quindi aboliamo l’insegnamento della grammatica?

«Niente affatto. L’insegnante dovrebbe guidare lo studente a guardare dentro di sé, a rendersi conto delle regole grammaticali implicite attive nella sua mente, senza le quali non potrebbe spiccicare una parola. Dovrebbe incoraggiarlo a riconoscere le proprie intuizioni ingenue sulla lingua e  a trasformarle in consapevolezza esplicita. Le sperimentazioni fatte (www.grammaticanativa.it/) mostrano che queste attività guidate di introspezione risultano interessanti, coinvolgenti e addirittura affascinanti, e con ciò sbloccano la mente e l’aprono a sviluppi cognitivi in varie direzioni».

E allora perché nessun manuale esistente suggerisce o prescrive nulla di simile, benché già le Indicazioni nazionali per il curricolo del 2012 raccomandino di partire dalla «grammatica implicita» per condurre gradualmente l’allievo verso forme di «grammatica esplicita»?

«Perché la linguistica italiana, rimasta sempre fedele alla propria impostazione storica, non si è mai aperta al dialogo con la grammatica generativa, che ha appunto assegnato alla linguistica lo scopo di scoprire il funzionamento della lingua nella mente dei parlanti. Ragion per cui la monumentale Grande grammatica italiana di consultazione di Renzi-Salvi-Cardinaletti pubblicata dal Mulino (1988-95), di ispirazione generativista, pur essendo stata giudicata “una pietra miliare nella storia della grammatica italiana” (Giulio Lepschy), non ha mai veramente influito sulle ricerche dei linguisti italiani, e meno che mai sulla grammatica scolastica. Se quest’ultima è rimasta tanto conservatrice è appunto perché la grammatica generativa non è stata accolta né dalla linguistica italiana accademica né dal movimento dell’educazione linguistica democratica di De Mauro, e così le sue potenzialità di rinnovamento didattico sono rimaste finora lettera morta».

Ma la grammatica valenziale che s’incontra talvolta nei manuali scolastici e che viene adoperata da alcuni insegnanti non è un passo nella direzione che tu auspichi?

«Sì, ma un passo timidissimo, persino controproducente, perché ha semplificato le cose a un punto tale da non riuscire più illuminante della vecchia analisi logica».

Dagli articoli di Tavoni si è sviluppata sulla piattaforma academia.edu una discussione che ha coinvolto alcuni dei più importanti grammatici italiani. Ne è emerso un fatto nuovo interessante: che sia quelli di orientamento generativista (Lorenzo Renzi, Laura Vanelli, Giorgio Graffi) sia quelli di orientamento valenziale (Michele Prandi) si sono trovati d’accordo sul fatto che una nuova grammatica didattica dovrà tenere conto di entrambi gli approcci, rifuggendo dalle semplificazioni improprie. Dopo tanti anni, qualcosa sembra muoversi sul fronte del rinnovamento scientifico della grammatica scolastica.

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