Libri

Se li guardi

Esce per Erickson-Il Margine un libro in cui Amedeo Savoia, che da anni insegna nelle carceri, ha raccolto alcune decine di storie di vita che gli sono state raccontate da carcerati/e. S’intitola Se li guardi e ha molti pregi, il principale dei quali è forse la totale assenza di retorica, quasi un miracolo quando si parla di queste cose. Io ho scritto la premessa, che comincia così:

C’è questo famoso raccontino di Kafka:

«Ahimè – disse il topo – il mondo si rimpicciolisce ogni giorno di più. All’inizio era così grande da farmi paura, mi sono messo a correre e correre, e che gioia ho provato quando finalmente ho visto in lontananza le pareti a destra e a sinistra! Ma queste lunghe pareti si restringono così alla svelta che ho raggiunto l’ultima stanza, e lì nell’angolo c’è la trappola cui sono destinato». «Non devi far altro che cambiare direzione», disse il gatto, e lo mangiò.

Una delle interpretazioni possibili è: arriva un momento della vita (ed è probabile che l’interpretazione mi sia suggerita dal fatto che per me quel momento è arrivato), arriva un’età in cui i giochi sono fatti, si è quello che si è, deviare dal sentiero che si è percorso sin ad allora non è più possibile, non è più possibile «cambiare direzione», e ciò che si aspetta – rassegnati o rabbiosi, angosciati o inerti – sono le fauci del gatto.

Leggendo i brevi racconti di vita riuniti in questo libro mi è tornata in mente più di una volta la favoletta di Kafka, perché l’impressione è che per gli uomini e le donne che parlano in queste pagine il tempo delle scelte, il tempo in cui è ancora possibile «cambiare direzione», sia durato pochissimo, a volte niente, che le pareti del muro fossero strette sin dalla nascita, che la trappola fosse sempre lì, in piena vista eppure inevitabile. Quasi a ogni pagina affiora un senso di ineluttabilità: «Questo mi ha dato tanto fastidio e mi faceva tanto male, ma non potevo farci niente. Ero io contro tutto il mondo. Come adesso».

Sono nati male, in un Paese fallito, tra povertà, ignoranza e violenza, e attorno a sé non hanno visto altro che questo, per anni: entrati nel mondo, hanno applicato la cattiva lezione che avevano assorbito dall’ambiente, sono stati violenti a loro volta, sono caduti nella trappola. Oppure hanno avuto infanzie e adolescenze simili a quelle di tanti altri, ma a un certo punto hanno fatto un errore, hanno desiderato la cosa sbagliata, hanno creduto di incontrare chi poteva dargliela: anche loro sono caduti nella trappola. Tutto comincia prestissimo, tutto si guasta già verso i dieci-dodici anni: perché uno piscia a letto e non gliela perdonano, o perché la madre muore o resta senza lavoro, o perché arriva la guerra. Chi parla in queste pagine non dice quasi mai la sua età, ma sono quasi tutte storie di bambini o di ragazzi: la memoria di chi racconta si ferma di preferenza su questa stagione della vita, come se la chiave per comprendere ciò che gli è successo dopo, il male che ha patito e fatto, andasse cercata nella fase dell’esistenza che precede la sinderesi, l’intelligenza delle cose. E infatti è così.

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