Libri

Una nuova edizione del Diario politico di Adriano Tilgher

Nel 1946 la casa editrice Atlantica pubblicò un libretto di Adriano Tilgher dal titolo Diario politico 1937-1941. Tilgher, che era stato uno degli intellettuali italiani più influenti dell’entre-deux-guerres, era morto nel 1941. Il libro ebbe pochissima circolazione, Tilgher venne quasi dimenticato. Tanto il libro quanto il suo autore meritano invece di essere conosciuti meglio. Ho curato una nuova edizione del Diario politico, fondata sull’autografo che è conservato alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma (l’edizione del 1946 brulica di errori). Esce nelle Edizioni della Normale, si può acquistare qui. Questo è l’inizio della mia introduzione:

Nelle storie del pensiero liberale italiano del Novecento Adriano Tilgher è praticamente ignorato. In realtà, Tilgher è poco meno che ignorato nella storia del pensiero italiano tout court, per ragioni che non si debbono approfondire qui, ma tra le quali ha certamente contato il suo atteggiamento nei confronti del fascismo, un atteggiamento che si è giudicato non abbastanza fermo. «Purtroppo il Tilgher – ha scritto Eugenio Garin nelle Cronache di filosofia italiana – non si limitò a rovesciare malamente la prospettiva crociana nella dialettica storia-antistoria, attribuendo ogni valore vitale all’antistoria, ma [recensendo la Storia d’Italia dal 1871 al 1915 di Croce] trovò il modo di fare in sordina la sua brava apologia del fascismo».

Ora, a parte ricordare il fatto ovvio che a mostrare fermezza contro il fascismo trionfante degli anni Venti e Trenta furono in pochi, pochissimi anzi tra coloro che rimasero in patria, conviene distinguere guardando alle date e alle circostanze. Dopo l’assassinio di Matteotti Tilgher aderisce all’Unione Nazionale di Amendola, e sul «Mondo» di Amendola scrive di politica e cultura, fino alla chiusura del quotidiano nel 1926, un’influentissima rubrica di critica teatrale, finendo vittima anche lui come altri collaboratori di aggressioni squadriste. Nell’autunno del 1924 viene coinvolto nella polemica che proprio sul «Mondo» investe Pirandello, il quale a pochi mesi dall’assassinio di Matteotti aveva chiesto pubblicamente la tessera del Partito Fascista. Pur ribadendo la sua devozione all’artista, Tilgher prende invece le distanze dall’«uomo di parte». Nel maggio del 1925 firma il manifesto degli intellettuali antifascisti di Croce, e nello stesso anno pubblica un furioso attacco contro Giovanni Gentile, lo Spaccio del bestione trionfante. Nel saggio – che pure ebbe estimatori anche all’interno del regime, tra i non pochi avversari del filosofo – Tilgher descrive sé stesso come un membro della «povera gente dell’Opposizione, perseguitata dalla censura e dai sequestri». Nel 1926, nella prefazione al saggio di Guido Mazzali L’espiazione socialista, biasima «i profittatori e i fiancheggiatori delle cause vittoriose» per aver voltato le spalle al socialismo, un ideale a cui nell’attuale congiuntura italiana restano fedeli soltanto «coloro che alla causa della liberazione dell’umanità hanno votata la vita» (e non c’è dubbio che Tilgher mettesse sé stesso in questo drappello di resistenti).

Fino al 1926, insomma, non c’è nulla nell’atteggiamento di Tilgher che lo dichiari come un fiancheggiatore del regime fascista, al contrario (altro discorso va fatto per il favore con cui lo stesso Mussolini aveva accolto, nel 1921, un articolo di Tilgher nel quale il fascismo era definito come «l’assoluto attivismo trapiantato nel terreno della politica»: definizione che però non implicava affatto adesione alla dottrina del fascismo). Le cose cambiano nell’aprile del 1928, quando, recensendo appunto su «La Stampa» la Storia d’Italia dal 1871 al 1915, Tilgher osserva che Croce non ha ben afferrato la necessità storica del fascismo, necessità che deriva dall’emersione, all’indomani della guerra, di quell’anima romantica, irrazionalistica, attivistica che era rimasta sopita nel primo mezzo secolo della storia italiana:

Nel 1860 Cavour diplomatizzava, statizzava la Rivoluzione. Nel 1922 Mussolini rivoluzionava la diplomazia, lo Stato, portava la Rivoluzione al possesso dello Stato. Con lui il Romanticismo sale al Governo. E dopo di allora egli si adopera a costruire a quest’anima romantica la forma definita precisa classica, in cui essa potrà finalmente posare quieta.

Come si spiega questo cambiamento di prospettiva, questa disponibilità non solo a capire ma ad approvare l’opera del fascismo? Che cos’è successo tra il 1926 e l’aprile del 1928? Per rispondere è bene riflettere, prima che sulle idee di Tilgher, sulle vicende della sua vita.

Tilgher non aveva mai occupato cattedre, né a scuola né all’università. Aveva lavorato come bibliotecario: prima, tra il 1910 e il 1911, alla Biblioteca Universitaria di Torino; poi per più di un decennio all’Alessandrina di Roma; quindi, nel 1924, alla Nazionale di Roma. Nel 1925 aveva lasciato l’impiego per – scrive la vedova Livia Tilgher in un opuscolo di ricordi – non meglio precisati «motivi politici e personali»: ma nella vicenda aveva avuto probabilmente un ruolo l’ostilità di Gentile. Da quel momento, il suo unico introito viene dall’attività di pubblicista. Doveva essere un introito ragguardevole, poiché Tilgher collaborava con i più importanti giornali italiani dell’epoca, e pubblicava a getto continuo raccolte di articoli e volumi originali, più d’uno tradotto all’estero. Senza poter fare stime precise, è significativo il fatto che nel suo testamento lasci due appartamenti alla moglie, uno alla madre, uno all’amica Liliana Scalero, tutti e quattro nel quartiere Prati di Roma. Ma dal 1926 la sua collaborazione ai giornali si dirada. Come osserva uno dei suoi biografi, Tilgher «viene ridotto al silenzio. Si ritaglia piccoli spazi sul Becco giallo, sull’Italia che scrive, sulla Cultura di Cesare De Lollis, su L’Idealismo Realistico di Vittore Marchi, su Ricerche religiose di Ernesto Bonaiuti». Non molto, per chi era ormai abituato a una platea nazionale, sicché è probabile – come ha mostrato Rosella Faraone alla luce delle lettere conservate nell’Archivio Tilgher – che anche per riguadagnarsi questa platea Tilgher abbia mutato il suo atteggiamento nei confronti del regime […].

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