Non ci si sperava più. Si sapeva che alla Mondadori progettavano di dedicare uno-due Meridiani a Fruttero e Lucentini, e che Domenico Scarpa ci stava lavorando, ma erano anni, e a un certo punto è venuto il dubbio – tra gli aficionados, magari a Segrate avevano tutto chiaro – che non se ne sarebbe fatto niente. E invece eccoli qui, due Meridiani, più di 1500 pagine di F&L, a portare grande gioia e una piccola delusione. Della delusione dico alla fine, prima la gioia.
«Questo progetto editoriale – scrive Domenico Scarpa – risponde a due richieste che i lettori di F&L hanno formulato con insistenza nel corso degli anni: 1) vedere riuniti i loro libri per poterne cogliere il disegno complessivo; 2) conoscere i retroscena di quei libri: i modi in cui sono stati scritti e i sistemi che F&L hanno trovato per lavorare insieme o, all’occorrenza, ciascuno per conto suo: in una parola, vedersi finalmente rivelare i segreti della coppia». A questo scopo, accanto ai testi Scarpa ha messo una generosa scelta di paratesti che include versioni alternative, interviste, memorie.
Quanto al primo punto, la riedizione di ‘tutto F&L’ è importante non tanto per i romanzi, che si leggono e si trovano ancora, quanto per una mezza dozzina di testi noti agli specialisti e che adesso potranno raggiungere anche il lettore comune: su tutti, i primi racconti di Lucentini. Ma il valore dell’operazione sta soprattutto nel secondo punto, cioè nell’enorme lavoro di commento che Scarpa ha saputo fare, un po’ con la sua voce, molto bene, e un po’ con le voci dei due scrittori. Per dare l’idea della qualità spesso somma di questi testi ‘ritrovati’, ecco le prime righe di un ritratto di Lucentini scritto da Fruttero:
C’è un’età felice, tra la giovinezza e la vecchiaia, in cui un uomo può permettersi di non prendere la propria vita come un fatto personale. È ancora lontana la mano ingiallita che conterà e riconterà, meschina o malinconica, il mucchio di spiccioli ormai inalterabile, mentre l’appassionato e capriccioso egocentrismo con cui ieri guardavamo noi stessi recitare importantissime parti al centro di palcoscenici immaginari, ha cessato di opprimerci con la sua pre-copernicana invadenza. Chi è Fruttero, in quest’età leggera? chi è Lucentini? Ma niente, nessuno, chiunque. La cosa è priva di ogni interesse, conta soltanto ciò che si fa da un giorno all’altro, da un mese all’altro, e soltanto mentre lo si fa; l’unico orgoglio e di essere infine riusciti a non sentirsi eroi, personaggi, protagonisti…
Chi scrive così, oggi? Cioè chi riesce a mettere uno stile altrettanto preciso, ironico, lieve al servizio di una simile intelligenza? Vale la pena di porsi sul serio la domanda, perché finire nei Meridiani vuol dire finire nel novero dei Grandi Scrittori (fatte salve, si capisce, certe tristi défaillance di catalogo degli ultimi anni). Fruttero e Lucentini erano dei Grandi Scrittori?
Bisogna intendersi sul senso dell’etichetta. Se un grande scrittore è quello che nei suoi libri affronta i problemi cruciali dell’esistenza e li illustra attraverso personaggi esemplari, e a suo modo li risolve (e questa è in fondo la nozione scolastica del ‘grande scrittore’ che un po’ tutti abbiamo), allora F&L non possono definirsi tali. Scrivevano gialli, un genere dal quale – salvo che per brevi squarci, per allusioni lasciate cadere nei tempi morti dell’indagine – i grandi problemi dell’esistenza sono per principio banditi (e, lo si dice a loro merito, i gialli migliori di F&L, cioè La donna della domenica e A che punto è la notte, non sono semplici semplici come dei Maigret, ma neanche aspirano ad avere le inquietudini metafisiche di Dürrenmatt). Ma se un grande scrittore è quello che sa raccontare una storia in maniera avvincente e dare corpo a personaggi memorabili, tanto memorabili e quintessenziali da diventare dei topoi (Anna Carla nella Donna, o l’americanista Bonetto, ma anche la Principessa e Mr. Silvera nell’Amante senza fissa dimora), e che soprattutto sa, tecnicamente, scrivere, cioè sa fare bene una descrizione, ha un orecchio assoluto per il dialogo, per i tic che formano grande parte della personalità – allora non c’è dubbio che F&L siano stati dei grandi scrittori.
E poi c’è la, come dire, solarità del loro pessimismo. Nessuna fiducia negli esseri umani, o meglio molta fiducia in certi rari esseri umani e nessuna negli esseri umani in generale, soprattutto quando si associano in scuole, lobby, partiti; nessuna tenerezza per le grandi cause, specie quando impongono di mettere tra parentesi, in vista di un bene più grande, quella common decency che F&L apprezzavano in un uomo come Orwell; nessuna fede nell’aldilà – poteva essere la ricetta per una di quelle prose depressive da tramonto dell’Occidente. Invece, anziché produrre amarezza, questa attitudine ha prodotto in loro una specie di serenità zen, e un’ironia tanto sorridente da non sembrare italiana (l’ironia italiana è quasi sempre sanguinosa), e anche la semplice gioia di partecipare per qualche attimo alla festa dei folli che è l’esistenza umana. In ogni loro pagina si respira quest’aria, persino in quelle che scrive Fruttero per commemorare l’amico suicida: erano questa cosa mai vista, due scrittori allegri.
Col che veniamo alla piccola delusione. Da vecchio fan che non avrà il tempo di rileggere La donna della domenica avrei voluto anche un Meridiano con i loro scritti giornalistici, sia una scelta di quelli finiti nella trilogia del Cretino sia quelli mai ristampati. Erano articoli molto belli e molto originali, nel senso che avevano sì qualcosa dell’elzeviro classico, ma in più erano arricchiti da quel tratto così poco italiano che è il distacco dalle cose e da sé stessi, il non prendersi troppo sul serio dicendo però cose serissime, meditate. Non sempre l’esercizio gli riusciva, non sempre la vena ironica li assisteva: no, in certi elzeviri per «La Stampa» un po’ senili; sì, tra i mille esempi possibili, in quel piccolo capolavoro che è La zia occulta (nel Cretino), un articolo che parlando di corruzione del linguaggio quotidiano riscrive la teoria pasoliniana del genocidio in forme più aderenti al vero, meno millenaristiche e, è ovvio, infinitamente più spiritose. Questi F&L sono tanto ‘da Meridiano’ quanto i F&L narratori. E la stessa cosa vale a maggior ragione per i loro scritti sulla letteratura. Che siano dei lettori intelligentissimi lo si capisce anche solo dalla pagina di Fruttero del 1959 che Scarpa cita nell’introduzione, su Grandi speranze di Dickens: «La prima cosa che colpisce leggendo i grandi romanzieri dell’Ottocento – e soprattutto Dickens e Balzac – è la naturalezza (l’incoscienza, si starebbe per dire) con cui essi intraprendono la descrizione totale del mondo che li circonda. Armati di un potere d’assorbimento che ha limiti vertiginosi, di una capacità d’osservazione che di capitolo in capitolo si affila anziché smussarsi, li vediamo affrontare le moltitudini con un ardore, una candida avidità che oggi abbiamo dimenticato, e alla quale ci si riaccosta quasi con sollievo». Perfetto.
Ma questa intelligenza è poi dispersa in tante schede editoriali, premesse, articoli che meriterebbero di essere raccolti e letti come un intero (per esempio quelli su Sereni o su Piero Chiara, o le annotazioni su Pinocchio, o una professione di disistima per Dario Fo che non mi pare si trovi in volume). Anche perché sulla letteratura e il mondo letterario avevano idee originali, diverse da quelle di quasi tutti i loro contemporanei, gli amici einaudiani in ispecie («uno dei nasi più fini e meno indulgenti dell’editoria italiana – scrive Calvino di Fruttero quando Fruttero lascia Einaudi per andare a dirigere «Urania» – ora ahimè convertitosi, per scettico snobismo, alla cultura di massa, e involatosi per lidi interplanetari»), ed erano tutte idee giuste, che avrebbero meritato di essere discusse ed accolte per tempo. Insomma: gratissimi, deliziati da questi due Meridiani, ne reclamiamo subito un terzo.
Carlo Fruttero e Franco Lucentini, Opere di bottega, 2 volumi, a cura di Domenico Scarpa, Milano, Mondadori Meridiani 2019.