Cose che riguardano l'Italia

Le radici comuni dell’Europa

Le radici comuni dell’Europa non sono né cristiane né pagane, le radici comuni dell’Europa sono nel liceo classico fatto a cazzo di cane. È l’unica conclusione che mi sento di trarre dopo giorni di lettura forsennata dei commenti alla vicenda greca, nei quali Alexis Tsipras è stato paragonato, in ordine sparso: all’astuto Ulisse che naviga nei mari della crisi in cerca di un approdo sicuro, sfuggendo alla Circe europea che trasforma gli stati in porci (i famosi Pigs); a Perseo che decapita l’orrida Gorgone della troika; a Ercole che decapita con più spargimento di sangue l’Idra di Lerna della medesima troika; ad Aiace colto da improvvisa pazzia; a Edipo che non si accorge di essere lui stesso la sciagura di Tebe; a Teseo che deve inventarsi un espediente per condurre la Grecia fuori dal labirinto; ad Achille che anziché vivacchiare preferisce morire giovane nell’eroico assedio referendario; a Giasone che vuole reimpadronirsi del vello d’oro del capitalismo; al tracotante Icaro che perde le ali per aver troppo alzato la posta dei negoziati; a Tantalo punito per aver barato sui conti pubblici, condannato a tendere invano le mani verso gli alberi rigogliosi del credito; ad Apelle figlio di Apollo che fece una palla di pelle di pollo (va bene, questa non c’era, l’ho aggiunta io). C’è poi chi ricorda che Tsipras non è Zeus, al limite un mortale di talento, e soprattutto che non è Re Mida. Per ciascuno di questi dèi, eroi e titani assortiti si trovano, a frugar bene nei giornali italiani ed europei, decine di articoli. Un colossale pride di antichi compulsatori del Rocci e del Montanari, o male che vada di fan dei cartoni animati di Pollon.

C’è da dire che il primo ministro greco ci ha messo del suo: appena eletto, a gennaio, raccomandò di non dare ascolto alle Cassandre (consiglio alquanto suicida, per chi conosca un poco il mito); e più di recente si è richiamato ad Antigone e al conflitto tra la legge scritta e gli ideali superiori di giustizia, esempio che si può accettare da chiunque ma non da chi occupa al momento il seggio di Creonte. Come vice premier si è scelto uno che paragona la Grecia a Sisifo, costretta a tirar su un macigno per vederlo ogni volta rotolare a valle; e il suo ministro delle finanze Varoufakis (a volte associato a un Centauro, per via della moto) è l’autore di Il Minotauro globale, metafora della vorace egemonia statunitense che esige il sacrificio delle ricchezze altrui.

Niente di strano, per ragioni di propaganda si dice questo e altro, e nessuno se la prende troppo quando Matteo Renzi (che è un caso esemplare di liceo classico fatto a cazzo di cane) cita Dante, Leonardo e Lorenzo de’ Medici o paragona impunemente i tagli di spesa al David di Michelangelo, scolpito togliendo il troppo e il vano da un blocco di marmo. Il guaio è quando questo guazzabuglio di stereotipi turistici, marketing del territorio, millanterie e tradizioni inventate non trova ostacoli razionali alla sua diffusione. Pare di capire che – malgrado alcuni secoli di storia greca moderna, di dominazione ottomana e di tutte le altre cose su cui il liceo classico sorvola perché, cari ragazzi, ormai siamo a fine anno e non si fa a tempo a completare il programma – le chiavi per capire la crisi attuale siano tutte nella Biblioteca dello Pseudo-Apollodoro, con grande gioia delle professoresse democratiche di Berselli. Si dà per scontato che un uomo politico nato nel 1974 e laureato in ingegneria civile, per il mero fatto di essere ateniese, debba avere qualcosa a che fare con l’Olimpo delle reminiscenze scolastiche. Invoco un provvidenziale bidello che suoni la campanella.

Paul Veyne scrisse una volta che il modo in cui gli antichi scrivevano la storia, attingendo senza troppo scrupolo a fonti mitiche e leggendarie, ricorda da vicino il giornalismo moderno. Il libro aveva per titolo una domanda: I greci hanno creduto ai loro miti? A quanto pare ci credevano un po’ meno di noi.

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