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Exit “Diario postumo”

«La congettura che il mondo / sia una burla, anch’essa / non risolve il puzzle fondamentale. / Se vuoi la mia opinione / l’unica via d´uscita è l’illusione, / perché ogni giorno la vita / supera il limite che pone». Di chi sono questi versi immortali che si leggono nel Diario postumo di Eugenio Montale? Di Eugenio Montale o della signora Annalisa Cima?

Riassunto delle puntate precedenti.

Nel 1996 è uscito per Mondadori un volumetto intitolato Diario postumo. 66 poesie e altre, a cura di Annalisa Cima. Nella premessa, la curatrice, che aveva frequentato Montale nei suoi ultimi anni, informava circa la provenienza dei testi. Montale – spiegava la Cima – glieli aveva dati perché lei li pubblicasse dopo la sua morte: «Accettai, dunque, la rosa di poesie che volle affidarmi a continuazione di quell’opera che egli stesso aveva detto “bisognava leggere nella sua totalità”. E mentre mi persuadeva dell’importanza di questo continuum, che solo poteva vincere la morte, il suo volto si rischiarava all’idea del segreto che lo avrebbe aiutato e distratto anche nei momenti più tristi. Ad ogni incontro, mi annunciava una sorpresa, una poesia, spesso un gioco, per integrare il progetto». Sì, perché c’era un progetto: sigillare le 66 poesie che formavano questo lascito post mortem in 11 buste, e pubblicare in apposita plaquette una busta (= 6 testi) ogni anno. Così, per «vincere la morte». E questo di fatto avvenne (non la vittoria sulla morte: la pubblicazione delle plaquette), solo che la sesta busta era in realtà un bustone, contenente non sei ma 6 + 18 poesie montaliane. E queste 66 + 18 confluirono appunto nel Diario postumo pubblicato da Mondadori.

Morto il poeta, pubblicato il libro, qui sembra che dovrebbe finire il discorso. Invece inizia. Perché osservando gli autografi, leggendo i testi, valutando le circostanze che hanno portato alla formazione del libro, alcuni studiosi hanno cominciato ad avere il sospetto che le poesie del Diario postumo siano, tutte o in parte, dei falsi. Il primo a parlare è stato Dante Isella, nel 1997: e ne è nata una polemica con la studiosa che ha avallato l’intera operazione, Rosanna Bettarini, co-editrice dell’Opera in versi di Montale (con Gianfranco Contini) e del Diario postumo (con Annalisa Cima), polemica cui hanno partecipato in parecchi, alla fine degli anni Novanta, e che si è chiusa nel dubbio. Ma ora ci sono delle novità. L’anno scorso, infatti, il filologo Federico Condello ha pubblicato per Bononia University Press un grosso, documentatissimo libro (I filologi e gli angeli. È di Montale il «Diario postumo»?) nel quale riesamina daccapo, minutamente, tutta la questione, e mostra quanti e quali indizi portino a giudicare decisamente implausibile l’attribuzione del Diario a Montale.

Il libro di Condello ha innescato la valanga, un’opportuna valanga. Nel novembre del 2014 si è tenuto a Bologna un seminario nel quale altri studiosi hanno portato altre prove a conferma della tesi di Condello: bizzarri anacronismi, fatti di stile che in nessun modo si armonizzano con lo stile dell’ultimo Montale, contraddizioni da parte della ‘curatrice’ circa le modalità di formazione del libro. E la valanga non si arresta: Come ha lavorato la Cima è il titolo (che dice tutto) di un saggio di Alberto Casadei uscito nel blog laboratoriodiletteratura.it; e altri contributi – tutti orientati nella medesima direzione – si vanno pubblicando nel blog leparoleelecose.it e altrove (frattanto, la battaglia sul Diario postumo si è accesa anche su Wikipedia: dove una molto misteriosa Alice Blomberg ha a lungo cercato di replicare, con toni sempre più acidi, alle riserve dei filologi). Letti tutti questi interventi, mi pare che il dubbio di una quindicina d’anni fa abbia ormai poche ragioni d’essere, e che l’onere della prova tocchi ormai non a chi contesta l’autenticità del Diario, ma a chi la sostiene.

Che fare?

Quanto alla questione dell’autenticità, qualche settimana fa ben 130 studiosi hanno firmato una lettera aperta nella quale chiedono ad Annalisa Cima di mettere a disposizione i presunti autografi del Diario e gli altri materiali ‘di contorno’: appunti, lettere-legato, disegni eccetera. «Sarebbe stato sufficiente chiedermeli», ha dichiarato la Cima a «La Stampa». Bene, hanno chiesto: vediamo le carte.

Quanto alle future edizioni delle opere di Montale mi pare sensato quello che scrive Paola Italia in Editing Novecento: «la soluzione più onesta nei confronti del lettore porterebbe a promuovere a testo solo le raccolte d’autore certe e produrre in apparato, o in una sezione di Poesie dubbie, le discusse poesie del Diario postumo, provviste ovviamente di un’ampia ricostruzione della storia dei testi e del dibattito sulla loro presunta autografia». O non è persino troppo? Devo dire che, sfogliando l’incartamento relativo al Diario postumo, uno non può fare a meno di domandarsi se non si stia un po’ esagerando. Alla fine, le possibilità sembrano essere due, la prima molto improbabile la seconda molto probabile: (1) Il Diario postumo è tutto di Montale, è uno scherzo che Montale ha fatto ai filologi: «Sono cani da tartufo, bisogna depistarli. Vedrai che bagarre, che parapiglia ne nascerà» (così, simpaticamente, il Poeta a Maria Corti, autunno 1971). (2) Il Diario postumo è un falso integrale, o è un falso parziale, che contiene cioè frasi o versi autenticamente montaliani mescolati però a frasi o versi non montaliani (e insomma di Annalisa Cima).

Ora, a parte soddisfare l’umana curiosità di sapere come stanno le cose (un proposito che merita qualche sforzo, non direi ogni sforzo), mi sfugge un po’ l’interesse di tutta la questione, una volta che i termini della questione siano stati – come sono stati, molto meritoriamente – chiariti. Il Diario postumo, chiunque ne sia l’autore, è un libro che non vale la mezz’ora che s’impiega a leggerlo. Chiuderla qui? Le carte, quando Annalisa Cima le estrarrà dai suoi forzieri, non degnarle neanche di uno sguardo?

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