[Domenicale del Sole 24 ore, 18 agosto 2013]
Non è particolarmente degno di nota il fatto che i migliori filologi italiani continuino a lavorare sul testo della Commedia di Dante. Degno di nota, e confortante, è che questi studi portino a galla in continuazione dati nuovi e interessanti, utili non solo in vista della ricostruzione testuale ma anche per la storia della ricezione del poema, e per la sua stessa interpretazione.
Ultimo contributo in ordine di tempo, questa raccolta di studi dal titolo Nuove prospettive sulla tradizione della «Commedia». Seconda serie (2008-2013), a cura di Elisabetta Tonello e Paolo Trovato. Seconda serie, perché il volume prosegue il lavoro cominciato in una prima, più ampia raccolta di studi di vari autori (2007) che si proponeva come «guida filologico-linguistica al poema dantesco». Dissodato il terreno, in queste Nuove prospettive 2 Paolo Trovato e la sua équipe documentano soprattutto l’ingente lavoro di scavo nella tradizione manoscritta e a stampa portato avanti negli ultimi sette anni, scavo che dovrebbe mettere capo a una nuova edizione critica della Commedia.
Ha senso, un’impresa del genere, posto che di edizioni critiche della Commedia ce ne sono già due, quella curata quasi mezzo secolo fa da Giorgio Petrocchi e quella più recente a cura di Federico Sanguineti (2001), e che a queste vanno aggiunte l’edizione a cura di Antonio Lanza, fondata sul codice Trivulziano (1996), e la revisione del testo Petrocchi a cui sta lavorando Giorgio Inglese (nel 2007 è uscito l’Inferno)?
Sì, ha senso.
Da un lato perché la tradizione manoscritta della Commedia presenta caratteristiche tali da rendere ogni ricostruzione una ricostruzione provvisoria. Della Commedia (a differenza che del Canzoniere, per esempio) non abbiamo autografi; non sappiamo con certezza se e in che misura – prima di essere pubblicata nella sua integrità – essa circolò per ‘blocchi’ di canti, o per cantiche; sono andati perduti i manoscritti, certamente numerosi, esemplati nei quindici anni successivi alla morte del poeta; ma resta comunque un numero enorme di manoscritti più tardi (circa ottocento contando i frammentari), e i rapporti tra questi manoscritti sono ardui da stabilire non solo per l’ampiezza del testimoniale ma anche perché i copisti attingevano spesso non a uno ma a più esemplari, contaminandone le lezioni.
Dall’altro lato, le edizioni esistenti si basano su un esame non completo ma soltanto parziale della tradizione (siano i loci critici isolati da Michele Barbi o sia la tradizione pre-Boccaccio di Petrocchi). E qui entra dunque in gioco il lavoro di équipe. Paolo Trovato ha infatti raccolto attorno a sé, all’Università di Ferrara, un gruppetto di collaboratori, per lo più molto giovani, e ha iniziato un riesame complessivo dell’intera tradizione della Commedia. Ciò ha portato, già in Nuove prospettive 1, a una revisione dello stemma codicum, cioè a una «ristrutturazione» dello stemma proposto da Sanguineti, con novità importanti in ordine – tra l’altro – all’individuazione dell’archetipo e al giudizio circa il rilievo delle due sottotradizioni nelle quali si scinde la tradizione del poema, quella toscana (la cui importanza Trovato inclina a ridimensionare molto) e quella settentrionale.
Queste Nuove prospettive 2 riprendono dunque e precisano il discorso. Il primo saggio del volume, dovuto ad Andrea Canova, non fa parte in realtà del ‘progetto Trovato’. È un’eccellente sintesi, una sintesi diciamo neutrale (e che anzi – osserva Trovato – in più punti «propugna del tutto legittimamente idee diverse»), intorno al lavoro filologico che si è fatto sulla Commedia nel corso degli ultimi cinquant’anni. Dato che la materia è molto difficile, e Canova riesce ad essere quasi sempre cristallino, direi che questo saggio può essere consigliato anche, come recita la quarta di copertina del libro, a «studenti e persone colte [che vogliano] seguire più agevolmente il dibattito in corso».
Temo invece che gli studenti e le persone colte getteranno la spugna di fronte ai saggi successivi, tutti assai interessanti ma più settoriali e – come è necessario – meno transitabili per il lettore inesperto (o anche per l’esperto che abbia fretta). Mirko Volpi, che attende all’edizione critica del commento del Lana, inquadra nella storia della tradizione della Commedia il testo del poema del quale il Lana si servì per la sua impresa. Elisabetta Tonello discute un recente contributo di Luigi Spagnolo sulla tradizione della Commedia, e ridisegna un segmento importante dello stemma (quello che coinvolge, tra l’altro, il codice Trivulziano). Angelo Eugenio Mecca ridiscute e ridimensiona moltissimo, contro Petrocchi, il ruolo avuto dalle copie boccacciane nella formazione di una ‘antica vulgata’ del poema. Gian Paolo Renello, infine, illustra alcune proposte per la gestione informatica delle varianti testuali.
Si tratta, come si può capire da questa tavola del contenuto, di un libro per pochi. Ma è un libro importante non solo perché fa progredire la ricerca nella filologia dantesca ma anche perché questi progressi si devono soprattutto a studiosi molto giovani, e però già eccezionalmente preparati e sicuri. Se li si metterà in condizione di poter continuare a lavorare (vedi il discorso dell’altra settimana sulle borse di studio), faranno cose eccellenti.