Istruzione

Mai più avrai quarant’anni

[Domenicale del Sole 24 ore, 11 agosto 2013]

Adesso che ho passato i quarant’anni vorrei suggerire all’Accademia dei Lincei, e a ogni altra Accademia nazionale, di non dare più premi alla carriera a studiosi che quella carriera, quella brillante carriera la stanno terminando o l’hanno terminata, ma di spendere tutti i soldi disponibili a vantaggio di studiosi giovani, ovvero di studiosi che non abbiano ancora compiuto quarant’anni.

Le ragioni di questa proposta sono evidenti. Primo: la generazione che sta concludendo ora la sua carriera è l’ultima generazione felice dell’università italiana. Ci sono entrati presto, hanno avuto presto una cattedra, hanno ricevuto e ricevono stipendi congrui e più che congrui, la loro pensione non è a rischio, nessuno di loro finirà a dormire sui cartoni alla stazione. Secondo: la generazione degli under quaranta è, per usare un eufemismo, in grave difficoltà. Specie per chi si occupa di scienze speculative, alla fine del dottorato si apre l’abisso. Qualcuno va all’estero, qualcuno insegna a scuola da precario, pochissimi entrano all’università, quasi tutti si arrabattano fino a quaranta, quarantacinque anni e più. Tra questi che si arrabattano ci sono, e posso provarlo, studiosi eccezionali, spesso migliori dei loro maestri, e sono studiosi che l’Italia sta perdendo.

I premi in denaro dovrebbero andare a loro. I premi in denaro dovrebbero andare non «a chi si è reso illustre nelle scienze e nelle arti», come recita il bando dei Lincei, cioè a chi ha scritto venti libri nel corso di una lunga e brillante carriera, ma a chi ne ha scritto uno, o due, e dà buone speranze di poterne scriverne tanti e belli nei prossimi quarant’anni, se solo gli si concede una chance, cioè il denaro per vivere decentemente e studiare senza troppi pensieri per tre-quattro anni. Per chi ha illustrato le scienze o le arti, per chi ha scritto venti bei libri nel corso di una lunga e brillante carriera basta la fortuna di averli potuti scrivere. O – se vogliamo, com’è anche giusto, festeggiare, ringraziare un grande studioso – basta una medaglia, un premio simbolico, la nomina a cavaliere, un party in onore, la ristampa delle sue Kleine Schriften.

S’intende: premi per giovani studiosi ce ne sono. Ma le somme erogate sono irrisorie. Direi anzi che sono somme insultanti, se non sapessi che, in chi le eroga, non c’è alcuna intenzione di insultare. Ma che dire di una borsa post-dottorale della durata di un anno dell’importo di euro 12.000 (stiamo parlando di lordo), la quale borsa, cito «non può essere cumulata con altre borse attribuite da altri Enti, né con assegni o sovvenzioni di analoga natura, né essere cumulata con stipendi o retribuzioni di qualsiasi natura, derivanti da rapporto di impiego pubblico o privato»? Dodicimila euro annui lordi. O che dire dei 5000 euro lordi stanziati per una borsa di 5 mesi da trascorrere in un’istituzione culturale britannica? Mille euro lordi al mese per vivere a Londra. L’estensore del bando non ha avuto qualche dubbio, la penna non gli è rimasta per un attimo sospesa sul foglio? (E parlo di penna e carta perché la documentazione, gli articoli, i libri, tutto va inviato in formato cartaceo: nell’anno 2013).

Meglio poco che niente, si obietterà. Non sono d’accordo. Questa pioggerellina di euro non serve a niente, o meglio serve a lasciare le cose come stanno, mentre le cose devono cambiare. Così come, allargando il discorso, non serve a niente mantenere in vita le mille fondazioni società accademie italiane che consumano gran parte del loro budget (ovviamente da fondi pubblici) in costi d’esercizio e spese per il personale lasciando le briciole – quando ci sono – ai giovani ricercatori. «Spendere più soldi per la cultura» è, mi dispiace, uno slogan che non ha senso (un’occhiata al libro Kulturinfarkt, uscito da poco per Marsilio, può essere istruttiva). Quello che bisogna fare è spendere con criterio. È il primo criterio che mi sentirei di proporre è appunto questo: dare premi in denaro a chi fa ricerca, e non a chi l’ha già fatta.

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