Istruzione

Agenda Monti, capitolo ‘Università’

[Corriere della Sera di Bologna, 29 dicembre 2012]

Gli accademici non sono mai in vacanza, sono occupati altrimenti. Soprattutto durante le vacanze di Natale, quando c’è il serio rischio che dimostrarsi liberi voglia dire dover parlare coi propri familiari, giocare con i propri figli o visitare anziane zie. Occorre qualcosa di prioritario e d’urgente, che ci imponga il gravoso sacrificio di sottrarci ai piaceri familiari.

Quest’anno, mi ha salvato Mario Monti. Dopo l’ascolto della sua conferenza stampa di fine d’anno, ho ritenuto che lo studio approfondito del suo contributo programmatico presentasse i necessari requisiti di priorità e di urgenza. Si trattava di salvare il paese, dopotutto.

Il testo ha molti pregi. E’ scritto in buon italiano. L’abuso dell’inglese è minimo. Un po’ troppi grassetti e corsivi, ma non a sproposito. L’argomentazione segue un filo coerente. L’autore sembra sapere di cosa parla. Se si ignora il paragrafo sull’informatica a p.11, che gronda cialtronismo puro, si può ammettere che sia una cosa seria.

Quello che fa venire un po’ di freddo alla schiena è invece accorgersi che, anche nel governo dei professori, nessuno ricordi più cos’è un’università. Il testo è onesto nell’avvertire che si investirà in essa solo quando si sarà ridotto il debito pubblico e saranno state eliminate le spese inutili (quindi tra un paio di secoli). Mentre è francamente sconcertante scoprire che l’unica idea espressa in dettaglio sull’università (a p. 10) sia quella di obbligare le  facoltà a rilevare in modo sistematico la coerenza degli esiti occupazionali dopo il conseguimento della laurea, rendendo pubblici i risultati. Colpisce che il «professore» non si sia accorto che le facoltà non ci sono più. E preoccupa come anche le persone colte non sappiano più distinguere tra l’università e i corsi del fondo sociale europeo. Perché molto di quello che insegniamo non serve assolutamente a nulla, ed è giusto e bello che sia così. E perché quello che insegniamo influisce assai poco sull’occupabilità dei nostri studenti, per motivi peraltro ampiamente analizzati e conosciuti. Voglio università corrotte e lassiste? No, voglio università rigorose, che tengano gli studenti (e i docenti) in biblioteca o in laboratorio sino a tarda notte. A studiare quello che devono studiare, sia essa un’equazione o la grammatica del Sogdiano. Insegnandogli che tale sforzo ha un valore intrinseco, dettato dalla disciplina che studiano non dalla carriera che faranno. Se avranno imparato a studiare, nella vita saranno un pò più felici o un po’ più consapevoli (raramente ambedue insieme). Se avranno imparato a usare il cervello, qualcosa nella vita concluderanno, secondo la propria virtù e la propria fortuna. Ma la responsabilità dell’università, tecnici o non tecnici, si conclude qui.

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