Cultura e società

Caravaggio/Bacon, e le mostre d’arte in Italia

Nel sito http://mostreemusei.sns.it trovate recensioni serie e meditate a mostre e musei. Il proposito di questo Osservatorio, diretto da Maria Monica Donato e coordinato da Fabrizio Federici, è spiegato nella homepage:

La nascita dell’Osservatorio si inquadra in un contesto per molti versi preoccupante, emblematico di quella pervasiva mercificazione che costituisce forse il tratto maggiormente distintivo della nostra epoca. Tanti musei assolvono al ruolo di santuari del turismo di massa, piuttosto che a quello di strumenti di crescita civile e culturale delle comunità; le mostre, moltiplicatesi di numero e nei numeri, si sono mediamente impoverite di contenuti e di slanci interpretativi, e in molti casi danno l’impressione di non essere che strumenti di profitto, benché non manchino progetti di sicuro valore scientifico…

Ecco, come assaggio, la recensione alla mostra su Caravaggio & Bacon dell’anno scorso a Villa Borghese (da leggersi accanto al preveggente T. Labranca, Chaltron Hescon: “Dopo anni di separatismi rigorosi si è creata una forte tendenza cialtronica culturale a creare minestroni concettuali in cui i livelli non vengono trascurati, ma evidenziati”).

Il progetto 10 Grandi Mostre non ci ha convinto sin dal suo avvio. A non convincere è soprattutto l’idea di realizzare esposizioni di ampie dimensioni in uno spazio già così ricco di opere e con un’identità così forte, quale è Villa Borghese, con tutto ciò che ne consegue (spostamento di pezzi del museo, presenza di strutture temporanee che nascondono gli ambienti, confusione tra il percorso della mostra e l’allestimento permanente). Meglio sarebbe stato organizzare focus di proporzioni più raccolte su alcuni dei pezzi principali della collezione borghesiana, in grado di accordare il richiamo sul pubblico con il rigore scientifico e le peculiarità degli spazi espositivi.

Nel caso del quarto appuntamento della serie, poi, si aggiungono pesanti obiezioni legate alla mostra in sé e per sé, e in particolare al proposito su cui si fonda, di affiancare due artisti completamente estranei l’uno all’altro (per epoca e poetica) quali Caravaggio e Bacon. L’accostamento è volutamente casuale, come si dichiara senza falsi pudori nel pannello all’avvio del percorso espositivo: esso “non muove da un’ipotesi storico-critica di filiazione, non presuppone un esercizio filologico che derivi l’ispirazione di Bacon da Caravaggio o suggerisca la ricezione formale, nelle tormentate figure del primo, del realismo drammatico del secondo.Questa non è una mostra sulla storia dell’arte, ma l’invito a compiere un’esperienza estetica”. Ma quale polverosa filologia? E che c’entra una mostra con la storia dell’arte? L’importante è immergere lo spettatore in una “esperienza estetica”, o presunta tale. E’ chiaro come in questo senso la rassegna rappresenti un precedente molto pericoloso: qualunque progetto di mostra potrebbe essere preso in considerazione, con gli accostamenti più stravaganti, a patto che siano suscitate sensazioni di tipo estetico nello spettatore. A quando allora una mostra su Tiziano e l’arte tibetana, su Pollock e Simone Martini?

Che la dichiarata mission dell’esposizione sia stata conseguita è, peraltro, in dubbio. Caravaggio e Bacon, per forza di cose, sono giustapposti, più che affiancati, tra le loro opere non si instaura alcun dialogo e difficilmente allo spettatore capita di sentirsi immerso in un'”esperienza estetica”. I due artisti sono e restano lontani l’uno dall’altro, per certi versi addirittura opposti: se Bacon rimane legato alla figura umana (e comunque è un po’ poco per etichettarlo come ‘naturalista’ ed affiancarlo così a Caravaggio), egli deforma e fa implodere il dato figurativo, laddove invece Merisi punta a compattare e rendere tangibili le forme attraverso le sue sciabolate di luce.

I pannelli tentano di rafforzare legami tra i due pittori in realtà labili, sottolineando che si tratta in entrambi i casi di ‘artisti maledetti’ (ma quanti sono gli ‘artisti benedetti’?), “che hanno espresso nella pittura il tormento dell’esistenza con pari intensità e genialità inventiva” (mentre di solito, come è noto, gli artisti affrontano temi frivoli). L’apparato informativo annovera, oltre ai pannelli e alle didascalie delle opere, alcune frasi di Bacon riportate sulle basi dei sostegni cui sono affissi diversi dei suoi dipinti: le citazioni si rivelano spesso poco incisive ed estrapolate in modo tale da non consentirne una piena comprensione.

Non è chiaro inoltre il principio che ha regolato la selezione dei dipinti, né di quelli di Bacon (tra i quali diversi bei quadri di provenienza privata) né soprattutto di quelli caravaggeschi, che comprendono alcune belle tele del periodo tardo, come Il martirio di Sant’Orsola da Napoli. Nella pattuglia delle opere di Caravaggio figurano poi, oltre naturalmente ai pezzi della Galleria Borghese, un paio di pale provenienti da cappelle romane (La Madonna dei Pellegrini La conversione di Saulo): se indubbiamente questi dipinti si vedono assai meglio in mostra, è anche vero che la scelta di separarli dal contesto per il quale furono realizzati solleva più di un dubbio. Vanno poi segnalati alcuni problemi di illuminazione: si veda l’enorme macchia di luce bianca che rende illeggibile tutta la metà superiore della Resurrezione di Lazzaro da Messina.

Una parola merita infine il convitato di pietra di una mostra che in qualche modo mette in relazione Bacon con il Seicento romano, ossia l’Innocenzo X di Velazquez, spunto per infinite variazioni realizzate dall’artista inglese. La tela non ha lasciato la Galleria Doria-Pamphilj (da cui pure è giunta a Villa Borghese la Maddalena penitente di Caravaggio); il dipinto del pittore spagnolo è tuttavia evocato e riprodotto in più punti del percorso espositivo e sulla brochure, e presentando il biglietto della mostra si ottiene uno sconto sull’ingresso alla Doria-Pamphilj. A favore dell’assenza del Velazquez giocano diversi elementi: il fatto che si sarebbe trattato di un’inserzione un po’ fuori tema, e che lo stesso Bacon non avesse mai voluto vedere l’originale dell’opera; soprattutto, la presenza di papa Pamphilj sarebbe suonata fastidiosamente ‘filologica’. Tuttavia noi non siamo Bacon, e rivedere il capolavoro di Velazquez accanto a qualche derivazione dell’inglese ci avrebbe fatto grande piacere, assicurando all’esposizione un momento di reale interesse.

Dopo tante critiche, è il caso di concludere con una nota di serenità, rilevando un aspetto positivo, che però finisce per ritorcersi contro la mostra stessa: siamo pur sempre a Villa Borghese e, se lo spettatore non è persuaso dall'”esperienza estetica” della rassegna temporanea, può abbandonarsi alla meraviglia di Dafne che da corpo vivo si fa legno, e poi marmo.

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