Spettacolo

Metadietro di Rezza & Mastrella a teatro

Domenicale del Sole 24 ore9 Novembre 2025

Il problema, quando si parla degli spettacoli di Antonio Rezza, è che gli unici termini di paragone pertinenti sono altri spettacoli di Antonio Rezza, perciò alla fine di Metadietro (nei teatri italiani in questi mesi) ci si trova a cercare analogie, linee di continuità all’interno di questa oeuvre ormai imponente: la scenografia (sempre creata dall’altra metà della coppia, Flavia Mastrella) ricorda un po’ quelle di Bahamut o di Fratto_X, ma ancora più asciugata, e con uso ancora più originale della luce; i virtuosismi coi numeri ricordano il Leitmotiv di 7-14-21-28; i dialoghi surreali con Daniele Cavaioli ricordano… un po’ tutti gli spettacoli in cui Rezza brutalizza comicamente i suoi comprimari. Il fan vede le continuità, nota le differenze, gode del fatto che il mosaico si è arricchito di un’altra tessera.

Nell’arco di quasi quarant’anni (i primi lavori insieme sono della fine degli anni Ottanta), Rezza e Mastrella hanno fatto ciò che riesce soltanto a pochi grandi artisti: spettacolo dopo spettacolo, hanno creato non solo uno stile inedito ma una inedita forma di rappresentazione. Si spengono le luci, e sul palcoscenico si vedono e si ascoltano cose che non hanno niente a che fare con una ‘normale’ esperienza teatrale. Anziché stare sullo sfondo, la scenografia fascia il corpo di Rezza, che se la porta appresso nei suoi funambolismi; e dal corpo esce, attraverso una voce straziata e cangiante, un lunghissimo discorso che mette capo a – come dire diversamente? – una specie di racconto.

Di fatto, dire ‘di che cosa parlano’ gli spettacoli di Rezza-Mastrella è impossibile, sicché si comprende e si scusa l’imbarazzo con cui i redattori dei giornali e dei siti web compilano la loro scheda informativa, per lo più copiando dalle brevi auto-presentazioni scritte dai due autori (che non fanno capire che cosa si vedrà in scena). La cornice di Metadietro è l’avventura di un ammiraglio che fa naufragio con la sua nave, ma poi questa nave diventa una navicella spaziale e l’ammiraglio diventa un astronauta, poi un cameriere, poi un angelo… Nei primi spettacoli persistevano avanzi di trama, un senso; poi tutto si è fatto sempre più astratto, pre-verbale. Come passare dal figurativo all’informale. Sfogliando la Noia incarnita, il libro che raccoglie gli scritti di e su Rezza-Mastrella, non è difficile raccogliere le pezze d’appoggio teoriche a questa – diciamo – poetica del patchwork, del ‘quadro’ semplicemente legato agli altri quadri da una frase, un gesto, un’invenzione scenica: «Noi non facciamo teatro, ci diamo al ritmo e lo montiamo come sequenza cinematografica. È un teatro di tagli, è l’esportazione di un vecchio progetto reso difficile dalla cultura parificata: fare cinema di montaggio». E sarà certamente così; ma nessun articolo di teoria vale la semplice, pura felicità che si prova assistendo al lavoro di questa coppia geniale.

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