In una lezione tenuta a Roma il 25 febbraio del 2009, Enrico Mentana ha descritto lucidamente i cambiamenti avvenuti negli ultimi decenni nel modo di fare giornalismo. Un tempo – ha spiegato – i telegiornali si facevano un dovere di aprire con notizie di alto profilo, di solito di politica estera, esposte con un linguaggio noioso e formale, ma oggi si è capito che se intendi dare alla gente quello che vuole devi aprire con la cronaca e devi parlare come mangi.
I quotidiani e i telegiornali del 2011 sembrano, grosso modo, della stessa idea: «Yara ha cercato di difendersi» era il titolo di prima pagina del Corriere della Sera del 28 febbraio, e in genere un po’ tutti i media hanno scelto di dare grande rilevanza alla triste vicenda della ragazzina di Brembate; anche Vespa, che di solito non si lascia sfuggire l’uccisione di un militare italiano, ha scelto di incentrare il Porta a Porta del 28 febbraio su Yara piuttosto che sul tenente Massimo Ranzani, morto proprio quel giorno.
L’idea che le notizie debbano avere una gerarchia basata non sulla loro rilevanza reale, ma sulle morbose aspettative del pubblico di grana grossa, è dunque ancora vincente. Questa tendenza assume anzi caratteri sempre più radicali: la notizia della scomparsa di Yara e del ritrovamento del suo cadavere potranno anche avere una qualche rilevanza reale (hanno a che fare con la sicurezza pubblica, forse; più verosimilmente ci dicono qualcosa sull’efficienza media delle indagini), ma il titolo del Corriere riesce ad annullarla, e mentre colpisce fortemente la sfera emotiva (anche quella dei genitori di Yara, temo), ha un contenuto informativo prossimo allo zero.
L’accettazione passiva del nuovo è stata sempre pericolosa e spesso anche controproducente nel lungo periodo. L’idea che “oggi le cose vanno così” ha la sinistra caratteristica di amplificare acriticamente ogni moda, e a volte l’effetto di rallentare un genuino progresso. Ho la sensazione che in questo caso, come in molti altri, alcuni cambiamenti che stanno avvenendo nella società civile vengano registrati con ritardo da chi ha il potere, attraverso la politica o anche semplicemente l’informazione, di influire su di essa.
Le conseguenze di eventi importanti, siano essi guerre, crisi economiche e politiche o catastrofi ambientali, si diffondono sempre più rapidamente e più lontano, e probabilmente comincia a farsi strada la consapevolezza che, per gli effetti che può avere sulla nostra vita quotidiana, la politica estera è ben più interessante delle cronache di Brembate. Forse davvero la maggioranza delle persone va ancora alla morbosa ricerca dei dettagli dei fatti di cronaca più macabri o pruriginosi, ma è davvero così esiguo il numero di quelli che saltano con una certa apprensione (e senso di fastidio) alle pagine sulla situazione politica del Maghreb o del Medio Oriente?
Se dovessi vincere il superenalotto per una decina di volte di seguito e decidessi di comprare un grande giornale, cercherei di convincere il direttore a parlare un po’ di più del fatto che pochi giorni fa la Borsa di Francoforte ha, in sostanza, comprato Wall Street (a proposito, quanti sono quelli a cui sarà sfuggita questa notiziuola? E di chi è la colpa?). E non lo farei in nome di un certo ideale di informazione ma, in un’ottica di lungo periodo, pensando al profitto.