Istruzione

Graduatorie e docenti: a chi spetta l’esaurimento?

Il presente scritto si propone di raccontare la realtà del reclutamento-docenti attraverso una storia vera. Le leggi che la regolamentano sono varie e si contraddicono a vicenda sulle ali dell’unica religione politica ammessa dal secondo dopoguerra in Italia: il riformismo. Fosse vera la sentenza gattopardesca del “tutto cambia per restare come prima” non staremmo qui a scrivere: il fatto è che tutto cambia per andare sempre peggio, e ci difendiamo in anticipo dalle accuse di pessimismo anzitutto circoscrivendo il campo d’indagine al titolo e ricordando con Sciascia che il pessimista non è altro che “un ottimista ben informato”. Se poi pensiamo a Camus quando in una delle sue ultime interviste alla domanda impertinente del solito giornalista “e lei cos’ha fatto per migliorare il mondo?” rispondeva un modesto “tanto per cominciare non l’ho peggiorato” tratteniamo a stento la disperazione guardandoci attorno: il modo più stupido di agire nel mondo è quello di peggiorarlo nella convinzione opposta: mistero della fede – riformista!

Ci siamo iscritti nella Graduatoria Provinciale per Titoli della Provincia Autonoma di Trento a dicembre 2008, con la promessa sancita per legge dal ministro Giuseppe Fioroni che le graduatorie aperte su tutto il territorio nazionale sarebbero state le ultime: nessun’altra avrebbe potuto istituirsi prima che quelle si fossero esaurite, svuotate; prima che ogni docente ivi incasellato non avesse trovato un lavoro a tempo indeterminato. Vennero chiamate graduatorie ad esaurimento non per caso; rivoluzione dell’onestà più realista, fine delle illusioni insostenibili riversate su migliaia di giovani aspiranti docenti: “dai, caro mio, ascoltami, sono lo Stato, la legge: ti prometto che sarai opportunamente formato, pagami le tasse, specializzati, colleziona master e attestati di laurea, di perfezionamento, di abilitazione, ed io sancirò con la mia potestà la tua professione, la scolpirò nella pietra: sarai professore!”. Da allora basta carote e basta asini. Si affacciava all’orizzonte per la prima volta dopo lunghi decenni l’idea che il presente fosse prioritario su qualsiasi altro tempo, che la perentoria certezza della realtà valesse più di un improbabile futuro e la concretezza incarnata di un individuo ancor più di una popolosa astrazione: fedeltà ai pochi “qui e ora” che davano carne e profili umani ad anni di studio, specializzazioni e abilitazioni di ogni sorta e ferma onestà verso la possibile moltitudine futura, un’onestà paterna ai mille volti delle ipotesi avvenire, a coloro che avrebbero desiderato ardentemente un giorno poter insegnare, ma che ricondotti nella ragione di un’impossibilità oggettiva e strutturale avrebbero cercato in altro le proprie sfide autoforgianti: rispetto per entrambi.

Dopo trent’anni di studio, una o due lauree, una o più specializzazioni, con l’abilitazione all’insegnamento ci sentimmo finalmente pronti ad esercitare il nostro mestiere: non sembrò tanto una ricompensa, bensì un atto di giustizia scolpito su pietra. L’itinerario sarebbe stato ancora lungo, la graduatoria si sarebbe svuotata lentamente con i successivi pensionamenti; i posti disponibili avrebbero potuto aumentare con una differente gestione delle classi di concorso ovvero con l’introduzione di nuovi profili liceali: tuttavia eravamo lì, prima o poi sarebbe toccato a noi.

Nella convocazione dell’agosto 2009 i posti disponibili finirono prima di raggiungere i nostri nominativi. Per fortuna ci chiamarono direttamente i Dirigenti scolastici pochi giorni dopo l’inizio delle lezioni attingendo dalle graduatorie d’Istituto. Ci fu subito chiaro di appartenere, per posizione in graduatoria, a quella soglia di precari nel limbo presso cui si fronteggiano disoccupazione e lavoro, la chiamata annuale con la conseguente possibilità di “fare punti” in graduatoria da un lato e l’esclusione con la correlata “stagnazione del punteggio” dall’altro. Per regolamento provinciale le graduatorie vanno riaperte e aggiornate ogni due anni: questa l’unica differenza rispetto alle graduatorie ad esaurimento nazionali. Ci trovammo quindi di fronte a una situazione che poteva solo migliorare: avevamo avuto la fortuna di completare l’ultimo ciclo S.S.I.S., di aver ottenuto l’abilitazione e di aver colto l’ultima occasione per inserirci da abilitati nelle graduatorie provinciali per titoli della Provincia autonoma di Trento, le quali col tempo si sarebbero uniformate alle “graduatorie ad esaurimento” volute dall’allora ministro Fioroni: ossia graduatorie “a sola uscita” mediante immissione diretta in ruolo e chiuse ad ogni altro ingresso: chiaro, no? La loro istituzione mise fine a una politica che fin lì aveva creato una moltitudine di disoccupati e di illusi, vale a dire coloro che avevano pa-ga-to con denaro e scelte di vita irreversibili la “licenza ad insegnare” sancita per legge e che si trovarono per lunghi anni senza lavoro nella scuola e con la difficoltà di trovarne uno altrove. Eravamo relativamente tranquilli: nessuno avrebbe mai potuto scavalcarci, le graduatorie si sarebbero svuotate, i posti pian piano si sarebbero resi disponibili con pensionamenti, trasferimenti o altro.

Non avevamo fatto i conti con la politica – la “p” è doverosamente minuscola – : che fosse rinsavita tutt’a un tratto? Ma no! La tradizione ha la sua importanza, giusto mantenerla.

Gennaio 2010: mentre prestavamo servizio per il primo anno in virtù della nostra abilitazione l’assessore all’istruzione Marta Dalmaso decise un “aggiornamento straordinario delle graduatorie provinciali per titoli” che consentisse anche, in deroga, il nuovo inserimento in graduatoria dell’ultimo ciclo S.S.I.S. “Ma come!”, ci dicemmo: “non eravamo noi “l’ultimo ciclo”? Che la Provincia sia sempreverde?”

Cosa accadde è presto detto: le S.S.I.S., nonostante Fioroni e in barba alla legge, furono tenute in vita grazie a una sottile e caparbia opera di accanimento terapeutico da parte delle istituzioni – le nostre amate Università in primis – che spremono gli studenti vendendo illusioni: “vuoi mettere” – si saranno detti i quattro furboni in poltrona – “che non faranno una sanatoria?! Le fanno dappertutto, perbacco! Intanto noi ci assicuriamo l’introito delle tasse poi si vedrà, anzi, vedranno loro! se proprio se la prenderanno con la legge!”. E avranno brindato a questa loro perspicacia insieme alla cerchia emerita dei professori universitari destinati ai corsi S.S.I.S. e pagati profumatamente, i quali ebbero il merito particolare di aver costituito un precedente storico significativo, ossia aver reso possibile, anzi reale, l’istituzione di un corso universitario il cui ambito disciplinare e i cui contenuti sono completamente ignorati da chi vi è preposto: sic! Del resto come potrebbe un docente universitario privo di esperienza nell’insegnamento secondario impartire anche solo una lezione credibile e per di più davanti a chi invece, quell’esperienza, l’ha maturata? Altra umiliazione di categoria, altro grossolano capitombolo dell’autostima, oltreché della pazienza, altro attacco alle coronarie: l’aspirante docente dello stivale è un eroe moderno stile Don Chisciotte con l’aggravante dell’attrazione fatale al martirio. Un essere in odore di santità.

Si sa, l’Italia ha mille risorse ma la fede nell’assurdo resta la prima: se il presente è insostenibile basta guardare avanti, verso il futuro, verso la terra promessa nella quale regnerà la giustizia, sulla scorta di una viltà fattasi ereditaria e tramutatasi nella fede più invasata e priva di alcun fondamento che “tutto andrà meglio”.

Fatto sta che dopo “l’ultimo ciclo” ci fu ancora un “ultimo ciclo”: chi si è iscritto, a questo punto giustamente, ha conseguito l’abilitazione a maggio 2009 ed ha potuto sfruttare una vera occasione dall’aroma di sanatoria: l’inserimento in graduatoria. Destinata a chiudersi fino all’esaurimento questa si riaprì dopo un anno. Lì per lì non ci pensammo più di tanto, noi già lavoravamo, anzi avremmo potuto aggiornare il punteggio inserendo quello del servizio che allora stavamo prestando: il bando titolava “aggiornamento straordinario”.

Nella primavera 2010, al momento di compilare tramite gli appositi moduli l’aggiornamento, leggemmo nelle note che gli unici titoli di servizio aggiornabili erano quelli maturati al 31 agosto dell’anno precedente. Prima fregatura: non potevamo aggiornare niente. Il sorriso si stemperava pian piano. Ma restavamo comunque davanti ai nuovi inseriti che nella migliore delle ipotesi avrebbero avuto il nostro stesso punteggio e contavamo inoltre sulla nostra giovane età e su una qualche precedenza derivante da una maggiore anzianità d’inserimento.

All’uscita della graduatoria provvisoria restammo di sasso: alcuni “nuovi inseriti” ci scavalcarono. La frontiera dell’occupazione scivolò via, il limbo lo vedemmo sempre più da lontano, dalla parte dei disoccupati. Che avesse ragione Montanelli nel dire che una certa politica ama a tal punto i poveri-precari da aumentarne il numero ogniqualvolta governi?

“Come è stato possibile?”, ci chiedemmo. La legge provinciale, la stessa che sancisce l’aggiornamento delle graduatorie ogni due anni, stabilisce anche che oltre ai titoli di servizio maturati in virtù dell’insegnamento effettivo prestato nelle istituzioni scolastiche, aggiornano il punteggio anche “altri titoli” fra i quali seconde lauree, dottorati di ricerca, master annuali. Con tutto il realismo del caso, risultava chiara la via scaltramente seguita dall’ “ultimo ciclo” S.S.I.S. – ossia l’ultimo dopo l’ultimo. Costoro, scartando una seconda laurea e il dottorato di ricerca per mancanza di tempo – visto che da quando si abilitarono a quando venne stabilito “l’aggiornamento straordinario” passarono un pugno di mesi – hanno optato per un master, che guardacaso si paga e che si può concludere in tempi molto brevi – quando si dice: i soldi! – conseguendolo entro la data utile per l’aggiornamento. Ma come! I titoli di servizio, l’effettiva esperienza sul campo, si possono inserire solo se maturati entro il 31 agosto dell’anno precedente e questi titoli “culturali” figli del denaro sono validi se maturati entro il giorno stesso della chiusura del bando? Sic! Seconda fregatura.

Un master che, per ammissione stessa di chi l’ha comprato – quale altro termine adoperare? – si consegue compilando un test a risposta multipla con tanto di manuale davanti-agli-occhi vale più di un curriculum fatto di esperienze? Sic! Queste le regole del gioco: vince chi è scaltro, vince chi se lo può permettere, ossia chiunque riunisca nella propria persona una buona dose di strafottenza e opportunismo, un’etica della leggerezza – stile mozzarelle light – così leggera che vola via alla prima avvisaglia di cattedra, l’assenza di preoccupazioni economiche e di una conquistata autonomia. In tale humus, onestà e pudore sono zavorre insopportabili.

A quel punto si profilava davanti a noi un interrogativo preoccupante: quando avrebbero riaperto le graduatorie dopo l’ultimo “evento eccezionale” al fine di aggiornare i punteggi? A due anni dal nostro inserimento – ci spettava – o a due anni dall’eccezione e quindi a tre anni dal 2008? Qui non è bastata nemmeno la famosa legge di Murphy: quando esiste il 50% di probabilità che un evento vada bene o male andrà sicuramente male. E’ andata peggio, ossia malissimo. Per motivi inattingibili a noi, individui concreti e realmente esistenti, l’astrazione Provincia, quintessenza dell’irrealtà, non ha riaperto le graduatorie e nessuno ha più aggiornato: l’ingiustizia si è cristallizzata rendendosi quasi irriconoscibile se non agli occhi delle sue vittime, i dimenticati del 2008, che invocano la musa della memoria.

Tuttora, novembre 2012, a quasi quattro anni dall’inserimento in graduatoria, i nostri nominativi sono lì fermi, incasellati, e dopo l’ultimo scivolone all’indietro immobili come le stelle fisse. Ci studieranno tra millenni come oggi si studiano i dinosauri o altre specie estinte? Che vogliano riservarci un destino fossile? Da tre lunghi anni ci troviamo senza lavoro nella scuola e con tutta la difficoltà di procurarsene uno all’interno di un mercato che richiede sempre più specializzazioni e che riserva lunghe delusioni a chi non si trova più in età di apprendistato: a un trentenne privo di “conoscenze” – s’intende: quelle giuste –  la società civile non può che augurare “buona fortuna”.

Senza speranza di far valere i nostri titoli – che, tra l’altro, non sono nemmeno pochi: dovessimo metterli in fila e quantificare il loro prezzo raggiungeremmo la quota sufficiente per comprarci una professione vera, reale e immediatamente spendibile – a questo punto, ci domandiamo, perché lo Stato, la Provincia, la politica non dovrebbero risarcirci?

“Come? – verrebbero a dirci – vorreste intavolare ricorsi per questioni così banali? In tal modo la giustizia non potrebbe occuparsi di ladri, spacciatori, assassini!”. Oppure, ancora peggio, potrebbero tranquillizzarci promettendoci presto una “nuova riforma”.

La tragicità di questa situazione deriva da due fattori: da un lato il fatto che chi lavora al posto nostro accumula punti al posto nostro, dall’altro dal fatto che tutto questo è noto a noi ed a chi ha il dovere di legiferare in materia. Tutto è alla luce del sole e risplende come un’aurora dolomitica davanti a una nidiata di incompetenti. Perché bendarsi gli occhi? – ci si domanda. Senza spessore umano, vincoli di bilancio e contingenze elettorali la fanno da padrone. E la riforma arriva puntuale.

Anche se la vittima di questo sistema di reclutamento fosse una sola, detto sistema dovrebbe sparire. I dimenticati del 2008 se ne stanno a guardare, impotenti, spesso disoccupati o mendicanti un lavoro, caldi come brace che non si spegne nemmeno di fronte al gelo dei colleghi più fortunati, per i quali vale la massima del Marchese del Grillo: “io son io, e tu, e voi non siete un cazzo”. L’umanità della nostra “categoria” è arrivata al punto tale che ci si potrebbe azzuffare a vicenda pur di contendersi uno spezzone che spesso frutta le spese per recarsi al lavoro – oltre al sacro graal del punteggio, s’intende, in onore del quale si potrebbe addirittura perdere il proprio – di onore. Una guerra fra poveri, dove sfavillano profittatori e carrieristi come se ne vedono tanti anche altrove, ma che mal si addicono al ruolo educativo oltreché culturale per il quale la scuola dovrebbe essere d’esempio – e non solo a parole. Ma questa miseria umana è fomentata con assoluta colpevolezza e nel pieno della volontà più cosciente dagli organi competenti – si fa per dire.

Ricapitoliamo: nelle convocazioni dell’agosto 2010, 2011 e 2012 siamo rimasti a bocca asciutta per i motivi suesposti. Tre volte, tre anni – ricordiamo che le graduatorie dovrebbero aggiornarsi ogni due anni. Aspettiamo ora con ansia l’aggiornamento del 2013 che dovrebbe tenersi in primavera e nel quale noi, i dimenticati del 2008, dopo più-di-quattro-anni inseriremo finalmente i nostri titoli di servizio o ‘vari’ nella speranza di poter risalire la china dell’occupazione.

Evidentemente tutto ciò risultava troppo semplice. Cambia il tempo e piovono riforme – anche solo pronunciare la parola fa venire i brividi. Prima il ministro Maria Stella Gelmini e i tagli sulla scuola, con i quali sono stati tagliati numerosi percorsi professionali e messe vite sottosopra, dimostrando ancora una volta di non voler intendere, con autonomo giudizio, cosa fosse necessario tagliare. Poi è il turno di Francesco Profumo, ministro dell’Istruzione del Governo tecnico, dopo che quelli politici risultarono tecnicamente impossibili. Che fa costui? Non avendo alcuna esperienza in merito, è l’uomo giusto per mantenere la tradizione. E ci riesce in pieno, anzi fa di più. Si muove su due fronti: da un lato dà realtà ai T.F.A., che erano stati già concepiti dalla Gelmini, con il plauso di tutte le regioni, Trentino Alto Adige compresa, dall’altro bandisce un concorso pubblico per l’insegnamento, il primo dal 1999, con il proposito di dare stabilità ai docenti – quali?

La storia del T.F.A è istruttiva più dell’intero dicastero. Ricostruiamola. Ricordate le S.S.I.S.? Dopo l’ultimo ciclo, e dopo l’ultimo “ultimo ciclo” terminato nel maggio 2009 i relativi corsi non partirono per un biennio. Un lungo biennio dove la malinconia serpeggiava nelle aule universitarie vuote mentre i professori sissini stillavano rimpianti: peccato, ora che davvero cominciavano a capirci qualcosa, to’, la sfortuna, niente più studenti. I tagli della linea-Monti convinsero infine le università, assistite dal ministero preposto, ad autofinanziarsi. Qualcuno ebbe la brillante idea di riesumare le S.S.I.S. ribattezzandole T.F.A. Come una sorta di “fu Mattia Pascal” questi se ne girarono in incognito, irriconosciuti, per qualche tempo, fino a quando risultò chiaro chi fossero e cosa volessero: si trattava delle vecchie scuole di specializzazione per l’insegnamento secondario cacciate dalla porta e rientrate dalla finestra al fine di vendere, guarda caso, illusioni. D’accordo, dicevamo, saranno riservati alle graduatorie di classi di concorso esaurite o comunque con una buona probabilità di lavorare. Ma no! Sor-pre-sa: la lungimirante Provincia Autonoma di Trento, grazie alla sensibilità del suo assessore all’istruzione verso le nuove generazioni, ha messo a disposizione 3 posti anche per la classe di concorso A037, Filosofia e Storia, la nostra. Ora, una breve riflessione non costa molto: trattasi di una classe di concorso che vanta, su 60 iscritti in graduatoria provinciale per titoli, 20 disoccupati stabili e una decina di precari che vivono su permessi, infortuni e maternità-paternità dei colleghi di ruolo. Quali erano i presupposti per aggiungere disoccupati e scontenti ad una fila già lunga e incollerita? Mistero della fede – riformista. Trattasi forse di finanziamenti alle università garantiti dallo Stato dietro un certo numero di corsi TFA attivati? Che non ci sia lo zampino dei quattrini? Come siamo maliziosi, vero?!

L’errore di fondo di riforme di questa specie è la totale mancanza di etica, di valori civili, di senso comunitario: si vendono licenze false, si promette l’insegnamento per tamponare una contingenza economica di un’istituzione astratta, e per farlo si vuotano le tasche di cittadini veri, che meritano rispetto ed onestà e che vengono invece riempiti di illusioni. Li vediamo, i nuovi iscritti, fra qualche anno: “ma come! ci avevate promesso che …”. “Si calmino, signori, si calmino” risponderanno loro i servi del potere di turno, “sono forse a conoscenza dell’ultima riforma? Ma no, Martin Lutero non c’entra, quelle erano riforme messe in piedi per valori e fedi, roba vecchia. Lo Stato è in una contingenza tale da legiferare in via eccezionale che … bisogna fare tutti dei sacrifici, bisogna capire!” con il solito latinorum ipocrita e vile. I tre posti messi a disposizione sono il risultato di una lunga selezione, con un numero cospicuo di preiscritti, di tasse, di soldi: voilà! In questo caso i mezzi sono i fini, denaro per denaro, alla stregua di una banca. Ma così si distrugge l’umanità di una cittadinanza. Si aggiunga poi che in questo modo non si fa il bene di nessuno, delle nuove come delle vecchie generazioni, prendendole entrambe per i fondelli. Qui si annida un equivoco funesto, una svista etica a tal punto profonda da far sì che ogni riforma così concepita rechi danni civili inestimabili nella convinzione opposta di fare il sommo bene: chiamasi stupidità, categoria mai così diffusa e invadente. E’ stupido fare promesse sancite per legge se è subito chiaro che non si potranno mantenere. E’ stupido concentrare i propri sforzi nel tentativo di offrire ad ogni generazione gli stessi sogni rimanendo netta la distanza scavata dal tempo. In questi casi la riforma è una fuga nel futuro da parte di chi non sopporta il presente; è più facile guardare avanti che guardarsi attorno: ma così non può attecchire nessuna etica. Di conseguenza viene maggiormente tutelato chi verrà rispetto a chi c’è già. E come tutelarlo? Di diritto e non di fatto. La legge sancisce ciò che la realtà nega. Nessuno è o sarà realmente tutelato. Se non esiste la possibilità di destinare posti d’insegnamento in determinate classi di concorso – come la A037 – bisogna ricorrere all’onestà e al coraggio dell’evidenza per prendersi cura e rispettare esseri umani animati da passione. Noi stessi avremmo ceduto all’oggettività dei fatti, non senza dispiacere, prima di intraprendere qualsiasi percorso di studi e di vita. Le nostre esistenze sono state considerate dei mezzi.

Veniamo poi al concorso, l’altra “riforma” bandita dal ministro Profumo. Detto concorso deve ancora svolgersi, si estende su tutto il territorio nazionale, compresa “l’autonoma” Provincia di Trento, e mette a disposizione un numero limitato di ruoli in determinate classi di concorso, tra cui, ovviamente, Filosofia e Storia. Nonostante l’assessore Dalmaso abbia risparmiato la nostra classe di concorso – sarebbe stata l’ennesima insensatezza e di certo le precedenti pesano ancora come macigni facendo gridare giustizia – quel che accade a livello nazionale muove nuovamente sulla via di un ipocrita riformismo. Era stato stabilito che le Graduatorie fossero ad esaurimento, e l’abilitazione, ossia la condizione necessaria e sufficiente per farne parte, non era forse la patente per l’insegnamento?  Non bastava quindi censire il numero delle cattedre che potevano andare a ruolo – cosa fatta per stabilire quanti posti mettere a bando per il concorso – e assegnarle secondo graduatoria? Tutti sarebbero stati contenti: i precari storici dotati di titoli e servizio avrebbero avuto la precedenza su tutti e gli altri precari sarebbero stati progressivamente sempre meno “precari”.

Invece, per il già citato ossequio alla tradizione del riformismo-idiota – dove la logica più elementare viene insultata su tutti i fronti, impedendo persino l’attenuante della “buona fede” – siamo nell’anticamera di un nuovo scandalo: sempre per amore dei “giovani” – intesi come coloro a cui gliela si può dare a bere – si umiliano precari storici, persone che da anni lavorano dentro la scuola a che avrebbero il diritto sacrosanto di passare in ruolo o, se non altro, la precedenza insindacabile su qualsiasi “nuovo arrivato”. Cosa accadrà, invece, nei prossimi mesi? Preso da un alzheimer repentino quanto artefatto il Ministero della Pubblica Istruzione dimentica il passato e magicamente, con un colpo di spugna, spazza via anni di esperienza, magari più specializzazioni e abilitazioni, tirocini, master, pubblicazioni e via, tutti vuoti, individui disincarnati, pure astrazioni con la virtù di essere uguali e perfettamente adattabili a formule matematiche create in perenne genuflessione al bilancio. Tutti saranno realmente equiparati l’un l’altro, tutti saranno “uguali”: che sogno! Nessun comunismo era mai arrivato a tanto! Sarà scontato, ma vale la pena precisare: non tutti i candidati potranno effettivamente svolgere le prove vere e proprie, sarebbe banale e di certo troppo bello. I luminari dei quiz televisivi hanno pensato a una test pre-selettivo incardinato su tutto fuorché i contenuti disciplinari delle materie a concorso, memori del successo di S.S.I.S e T.F.A.. Detti test, seriosi quasi quanto quelli della TV, misurano la capacità logica – quella che è mancata ai loro inventori – le abilità linguistiche e informatiche, con una particolare attenzione alla lingua straniera. Le conoscenze dei contenuti della materia per le quali ci si candida vengono sì verificate dal ministero ma – udite udite – nelle prove successive, dopo la selezione darwiniana suesposta, mediante uno scritto inerente la disciplina ma soprattutto nella simulazione di una lezione davanti a una commissione composta non si sa bene da chi: che gli ex docenti S.S.I.S. possano far valere il loro autorevole curriculum? Chissà.

Quanto a noi, i dimenticati del 2008, il nuovo concorso potrebbe aggiungere al nostro cospicuo curriculum di sventure il colpo di grazia, il definitivo addio persino alla speranza. Non toccandoci direttamente, visto che l’assessore Dalmaso non ha messo a disposizione posti di Storia e Filosofia il concorso potrebbe colpirci di rimbalzo. A causa del concorso bandito anche in Provincia di Trento per le altre materie d’insegnamento, e visto l’iter complesso di preselezioni e prove, i risultati potrebbero non pervenire in tempo per il prossimo aggiornamento delle graduatorie provinciali per titoli, che verrebbero “congelate” un altr’anno – vi ricordate? Da dicembre 2008 siamo immobili e non lavoriamo!

Possibile, ci chiediamo, non ci sia un modo veloce per consentire esclusivamente l’aggiornamento per i già iscritti in graduatoria? Dipenderà forse dal fatto che la Provincia di Trento, unico caso in tutta la Penisola, non abbia trovato modo migliore di dar senso alla propria autonomia se non quello di distinguere le proprie graduatorie da quelle ad esaurimento nazionali con la promessa mai mantenuta di uniformarvisi presto? Non a caso in Trentino esse si chiamano graduatorie provinciali per titoli e, tuttora, la particolarità sta nel fatto che ogniqualvolta si aggiornano consentono nuovi inserimenti. L’italiano straniero, nella fattispecie qualche abilitato errante, potrebbe così scavalcare l’italiano trentino inserendosi “a pettine” e la Provincia, invece che varare una legge per chiudere le graduatorie come ha fatto chiunque fuori dai suoi confini, protegge i propri iscritti impedendo l’aggiornamento, ossia seminando le ingiustizie di cui si parla. Se non si trovasse una soluzione in tal senso saremo definitivamente tagliati fuori. Non potendo aggiornare il punteggio prima di cinque anni – si andrebbe alla primavera del 2014: cinque-anni-e-mezzo, un precedente scan-da-lo-so – ed essendo stati scavalcati nelle posizioni utili per lavorare dopo gli inserimenti eccezionali del 2010 senza che in tale occasione ci fosse consentito far valere il nostro servizio, in una classe di concorso come la A037, affollata e senza molti posti a disposizione, non lavoreremo mai più per ciò a cui siamo stati formati e per cui abbiamo versato tasse su tasse. Senza contare il fatto che un eventuale aggiornamento con apertura “a pettine” potrebbe persino peggiorare la nostra situazione. Se così sarà, chi di dovere se ne assuma il peso e l’irrimediabile “costo umano”: noi chiederemo giustizia.

Vi domanderete: “possibile che una graduatoria sia gestita così male?”. Eppure, con un po’ di buona volontà, non sarebbe difficile organizzarsi. Le scuole del territorio si conoscono, una stima indicativa dei professori di cui c’è bisogno per la classe d’insegnamento non occuperebbe più di un pomeriggio. Per la parte non stimabile si potrebbe aprire la relativa graduatoria avendo cura di non sovradimensionarla. Il personale di ruolo man mano lascerebbe il posto ai primi in graduatoria. La situazione andrebbe monitorata periodicamente. Tutto filerebbe liscio.

Il problema tuttavia riguarda la “mobilità del personale docente di ruolo” – paragonato ai precari iscritti in graduatoria, una vera e propria casta! – una mobilità provinciale, interprovinciale, regionale, interregionale e addirittura inter-disciplinare. Che significa? Sulla mobilità territoriale tutto è chiaro: un docente di ruolo in una disciplina può, stante alcune condizioni e disponibilità che andrebbero sempre monitorate, trasferirsi altrove. Perché no? Questo però richiede controllo, un controllo serio – le regioni e le province italiane non sono infinite! – per non causare errate stime sul personale non di ruolo con il relativo sovradimensionamento delle graduatorie e il perpetuarsi delle ingiustizie fin qui descritte. Ciò è del tutto fattibile, persino in Italia. Riguardo invece alla mobilità interdisciplinare tra ordini e gradi diversi di scuola, il discorso andrebbe approfondito, se non altro per porre fine alle più taglienti ingiustizie. Un collega passa di ruolo alle Elementari o alle Medie e dopo cinque anni chiede il “passaggio di cattedra” alle scuole superiori per una classe di concorso per la quale, nel frattempo, ha conseguito tutti i titoli necessari ai fini dell’insegnamento. Così facendo, non appena nella tale classe di concorso diventa disponibile un ruolo costui mette la freccia e, con la dovuta strafottenza e alterigia, sorpassa tutta la lunga fila in coda in graduatoria, magari da anni e anni, e si prende il posto: “to’, fregati!”. I precari pensano: “Ma da dove viene questo? noi qua accodati da anni e guarda.. che abbia una licenza speciale di sorpasso?”

Fra le classi di concorso a più alta forza di gravità, dove cadono alcuni fra gli opportunisti più sfacciati con tanto di benedizione della legge – possibile che tutti gli altri stiano zitti?! – rientra, indovinate un po’, la A037, filosofia e storia. Non a caso, dati della Provincia Autonoma di Trento alla mano, chi è arrivato al ruolo in tempi ragionevoli nella classe di concorso considerata ha percorso esclusivamente questa strada. Non appena qualche posto si rende disponibile la cara Provincia, sostenuta dalla legislazione nazionale così sensibile ai giovani ed ai precari, che fa? Non ci pensa su due volte – e questa non è una novità – e li regala a chi, un ruolo, ce l’ha già altrove, insultando e bistrattando di fatto gli iscritti in graduatoria che invece non hanno alternative.  Il meccanismo è semplice: vuoi insegnare storia e filosofia? allora corri alle Elementari – oppure alle Medie – mentre insegni e passi di ruolo prenditi una laurea in quelle discipline, aspetta il corso abilitante che di certo verrà – sarà gratuito? – e poi, voilà! Tutto in regola!

Il fatto che esistano simili scorciatoie testimonia più di mille parole una grave deficienza legislativa: un altro fatto, quello che ci si metta senza remore a percorrerle, riflette l’homo homini lupus di una “categoria” disagiata. Chiaramente le regole del gioco spingono i concorrenti a dare il peggio di sé, e questo avviene praticamente sempre e in un contesto in cui ciò dovrebbe essere impossibile.  A meno che ci si metta nell’ottica del “farei di tutto pur di insegnare”: l’ottica dei sudditi.

Negli ultimi anni, in provincia di Trento, nella classe di concorso A037, la quasi totalità dei ruoli disponibili si è bruciata così: sic! Nella versione trentina delle graduatorie ad esaurimento – ma perché mai le avranno chiamate così se le code non la smettono di allungarsi vuoi per “l’ultimo ciclo” dopo l’ultimo ciclo S.S.I.S., vuoi per i T.F.A., vuoi per i concorsi, vuoi per i trasferimenti e i passaggi di cattedra del personale di ruolo? – chi, di fatto, deve esaurirsi? Che l’esaurimento fosse previsto per gli iscritti?

“Non preoccupatevi”, tuonano dall’alto, “a lungo andare le graduatorie si svuoteranno causa pensionamenti”. Ma le carote non le mangiamo più: pensionato che va maestro che viene, pensionato che va vincitore del concorso che viene, e nel lungo periodo – ricordava Keynes – saremo tutti morti.

La situazione si deve risolvere subito bloccando i meccanismi viziosi che hanno prodotto la vergogna civile delle graduatorie: si può fare, si deve fare, persino in Italia.

Gli iscritti nelle graduatorie ad esaurimento devono avere la precedenza assoluta sui colleghi di ruolo in altre classi di concorso, sui futuri candidati di futuri concorsi, sulle nuove generazioni, sul bilancio, sull’ipocrisia. La realtà va guardata negli occhi.

(Speciali ringraziamenti a Marzia Comini e Paola Antolini)

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